Basket, Toni Kukoc e "The last dance": da Treviso ai titoli Nba con i Chicago Bulls di Jordan

TREVISO. La palla è rimasta arancione, il gioco è rivoluzionato. Kukoc, il Palaverde, Treviso e "The last dance". Sono passati quasi trent’anni, ma per gli appassionati di basket quell’incredibile giocatore di 2,08 che mise il capoluogo della Marca sulla mappa della pallacanestro mondiale suscita ancora i brividi.
Tantopiù se le tracce del suo passaggio arrivano nel documentario sportivo del momento (qualcuno addirittura sostiene “del secolo”), targato Espn, che racconta l’ultima cavalcata dei Chicago Bulls (annata 1997-'98) ma scava nel passato di Michael Jordan, con le prime sei puntate già trasmesse da Netflix (le ultime quattro nei prossimi due lunedì).

L’EPOPEA TREVIGIANA
La figura di Kukoc – autentica leggenda della pallacanestro trevigiana - emerge a metà della quinta puntata, quando il flashback arriva alle Olimpiadi di Barcellona del 1992.
E Toni arrivava da una straordinaria annata con la Benetton (avete detto scudetto?), e i notiziari statunitensi del 1992 soprannominarono il fuoriclasse biancoverde "il Magic Johnson mancino" (ma noi ci ricordiamo anche l’Airone di Spalato, il Ragno di Spalato, Pink Panther e The Croatian Sensation. Due anni prima Chicago lo scelse al Draft Nba, con la chiamata numero 29. Ma in Nba ci arriverà solo tre anni dopo.
In “The last dance” Karl Malone (membro del Dream Team, secondo miglior marcatore in Nba dell’epoca) ammise di non saperne molto di lui” – d’altronde i giornali non erano ancora on line – “ma che "Michael e Scottie ne sanno qualcosa".
Nei mesi precedenti, infatti, i Bulls inviarono più volte i propri scout al Palaverde per seguire le gesta di Kukoc. Scelto come seconda scelta del secondo turno al draft del 1990, aveva avuto 4 miliardi (in lire) di motivi per ritardare il suo sbarco nel mondo Nba: tanto percepiva all’anno a Treviso.
"Toni è sicuramente un prospetto eccezionale", disse di lui all'epoca il gm dei Bulls, il controverso Jerry Krause, "Credo anche che sia un ragazzo molto in gamba".
Lo voleva fortemente. Però "dopo che i Bulls mi scelsero la situazione a casa peggiorò", racconta oggi Kukoc, "a causa della guerra. Decisi di restare un altro paio d'anni in Europa, per essere vicino e non allontanarmi del tutto". Bravo Toni, ma non dimentichiamo che "Guadagnavo molto di più in Europa di quanto avrei guadagnato nei primi due anni a Chicago.
Non parliamo di piccole somme, ma di un palio di milioni". Già, perchè Gilberto Benetton – che l’aveva preso dalla Jugoplastika Spalato - non aveva alcuna intenzione di lasciarselo scappare: Kukoc sarebbe stato l'astro in grado di far rispendere il basket trevigiano in tutto il mondo, e di lui voleva farne anche un uomo immagine che fuori dal campo indossasse i maglioni dell'azienda di famiglia.
Un’autentica svolta anche nel mondo del marketing e della comunicazione. Per l'Italia, era considerato l'affare del secolo: contratto di sei stagioni (con Nba escape alla quarta), ma sappiamo che poi il pressing di Krause fu troppo convincente, e Treviso lo lasciò partire dopo due stagioni da leggenda.
Alla firma con Gilberto Benetton - era il 13 maggio 1991 - indossava una giacca scura, una cravatta regimental e un colorito pallido. In maglia biancoverde mise assieme medie di 20 punti, 6 rimbalzi e 5 assist nelle due stagioni che lo videro vincere uno scudetto e una Coppa Italia, arrivando sempre in finale nei tornei nazionali e - il grande rammarico dell'universo Benetton - cedendo all'ultimo atto con il Limoges in quella che ora è assimilabile all'Eurolega ma che al tempo era la Coppa dei Campioni. L’infortunio del primo anno quasi non se lo ricorda nessuno.

L’APPRODO IN AMERICA
Ma il suo destino era segnato. “Toni Kukoc sarà il futuro dei Bulls”, disse Krause dopo averlo selezionato. Il vice gm in “The last dance”: “Jerry corteggiò Toni a lungo mentre la squadra vinceva i titoli, e questo diede fastidio a parecchi giocatori”.
I media statunitensi ricordano che Krause era venuto a Treviso “a negoziare con Kukoc mentre Pippen aspettava di firmare il suo contratto. Lo hanno messo in attesa mentre negoziavano con Kukoc”. I Bulls cercavano di liberare spazio salariale per firmarlo. “Quando giocavo a Treviso non sapevo cosa stesse accadendo ai Bulls, non sapevo degli attriti tra Jerry e Scottie o tra Jerry e Michael”, racconta Kukoc, che nella prima partita delle Olimpiadi del 1992 a Barcellona venne preso di mira da Jordan e Pippen: “Lasciatelo a me e a Scottie”, disse His Airness ai compagni in spogliatoio.
“Toni Kukoc divenne un ottimo compagno di squadra, e gli voglio bene”, dice oggi Michael Jordan, “Ma il modo in cui fu presentato a me e a Scottie non lo apprezzai, e mi spinse a dare il massimo”.
“Toni Kukoc pagò le conseguenze del comportamento di Krause”, aggiunge oggi Pippen, “non eravamo solo io e Michael, tutta la squadra olimpica guardava Toni e pensava: “Dopo questa partita ti passerà la voglia di giocare in Nba“. Non ce l’avevamo personalmente con lui, ma avremmo fatto di tutto per far sfigurare Jerry”. Pippen lasciò Kukoc a soli 4 punti in quel primo match.
“A Scottie non è piaciuta la pubblicità sulla questione Kukoc”, disse un altro mito come Charles Barkley, “e ha dimostrato che se c’è uno che a Chicago merita un contratto più alto, quello è lui”. Per la cronaca, le immagini che nel Usa giravano vedevano Kukoc vestito in maglia biancoverde, con la scritta Benetton sul petto.
“Perché se la presero con me? Non me conoscevano affatto, era la prima volta che ci incontravamo”, dice oggi Kukoc, che poi ricorda come le due squadre si ritrovassero in finale, e la sua prova fu diversa: “Ha giocato bene, è più tosto di quanto pensassi”, disse Jordan in spogliatoio dopo aver vinto l’oro.

UNA CARRIERA DA FANTASCIENZA
A Treviso si allenava e giocava con Del Negro (il primo anno a Treviso, nel 1991-92), Rusconi (anche lui in Nba qualche anno dopo, ma fu un’avventura pessima…), Iacopini, Vianini, Pellacani e con l’altro croato Petar Skansi in panchina. Con Vinnie scoppiò subito una competizione interna: già durante il ritiro precampionato del 1991 Kukoc e Del Negro correvano come dei pazzi mentre il gruppo andava al piccolo trotto, erano compagni di squadra ma in perenne confronto l'uno con l'altro per dimostrare chi fosse la star.
Un roster che mise le basi per una serie di scudetti (l’ultimo nel 2006, altri tre in precedenza), e molti giocatori lanciati in Nba, in primis Andrea Bargnani (prima scelta nel 2006 e primo europeo a venir chiamato così in alto).
Krause, che oggi non può difendersi (è morto nel 2014) all’epoca fu tra i pochi coraggiosi a scommette sul basket europeo, ma fa la parte del cattivo in “The last dance”, perché di fatto all’inizio della stagione che portò i Bulls al secondo three-peat diede il benservito al coach, Phil Jackson, e per anni si rifiutò di rivedere il contratto di Pippen, che sei anni prima firmò un contratto lungo ma svantaggioso.
Ma “Krause ha passato anni a chiamarmi per convincermi ad andare in Nba”, ha detto Kukoc a Nbc, “Ogni volta che mi parlava di MJ e Scottie Pippen aveva le lacrime agli occhi. E’ stato Krause a creare quella squadra che vinse sei titoli Nba, eppure la gente pensa che sia il colpevole di tutto”.
Toni Kukoc, leggenda del basket trevigiano, vinse tre titoli Nba e il premio come miglior sesto uomo dell’anno (nel ’96), si è ritirato nel 2006 (ha giocato anche con Sixers, Hawks e Bucks), vanta due argenti olimpici e un oro mondiale (1990), oltre due Europei. L'omaggio più grande gli arriva forse oggi da Steve Kerr, suo compagno ai Bulls e allenatore dei Golden State Warriors (tre anelli negli ultimi cinque anni): "Nelle locandine di The last dance dovrebbe esserci Kukoc, era un giocatore incredibile, un fuoriclasse, potrà ricevere i giusti meriti nel documentario. Se giocasse oggi sarebbe un All-Star, il suo gioco sarebbe perfetto per l'Nba di oggi". Kukoc vedeva nel futuro.
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