È suonata l’ultima sirena Nba Overtime chiude con 20 mila spettatori «È il sogno americano»

La mostra per gli appassionati del campionato Usa lascia Treviso Sono passati Peterson, Messina, Obradovic, Gherardini e Nachbar 

a stelle e strisce

La Nba a Treviso la conosciamo bene. Nel 1984 i Seattle Supersonics di Lenny Wilkens vennero al Palaverde per battere in amichevole la Benetton del povero Massimo Mangano 123-101: evento storico, il primo del genere in Italia. Poi potremmo parlare della schiera di giocatori e allenatori e dirigenti passati per la Ghirada e poi approdati all’altra parte dell’Atlantico: Kukoc, Del Negro, Woolridge, Garbajosa, Bargnani, Neal, Nachbar, Evans, Gherardini, D’Antoni, Messina, Blatt e via dicendo. Ma avere avuto nel cuore della città per un mese una mostra dedicata esclusivamente al grande basket dei pro è stato un altro vanto di cui essere orgogliosi.

NBA Overtime ha chiuso ieri superando le 20 mila presenze, onorata dalla visita di Bostjan “Boki” Nachbar, dopo che aveva avuto anche quelle di Dan Peterson, di Treviso Basket, della Reyer, di Obradovic e Gherardini, di Messina. Si è potuto vedere di tutto: oltre i filmati, anche di giocatori che conosciamo bene perché visto al Palaverde, c’erano le maglie di Isaiah Thomas, Bargnani, Gallinari e Jabbar, cimeli come una mattonella del Madison firmata da Walt Frazier, i palloni firmati da Payton e dal commissioner Stern, i canestri dei "buzzer beaters": la palla che entra alla sirena scagliata da Jordan, Rose, Magic, James, Bryant.

Ma perché Overtime? «Oltre il tempo: la pallacanestro supera le barriere temporali - spiega Massimiliano Finazzer Flory, il curatore - Treviso, ma non solo, ha risposto in maniera splendida, mi ha colpito soprattutto l’approccio di generazioni diverse, sono venuti padri e figli, che la Nba l’hanno conosciuta in momenti diversi. Parlerei di passione e partecipazione, anche i canestri che avevamo installato in piazza Borsa hanno riscosso successo. Ovvio che l‘ingresso gratuito abbia giovato, ma ugualmente siamo stati sorpresi dall’affluenza». È stato come entrare a una mostra d’arte: il buio, poi gli schermi in sale illuminate da faretti. E i filmati che scorrevano in loop con le prodezze delle stelle del parquet erano opere d’arte: schiacciate, stoppate, pazzesche acrobazie di giovanotti che sfidavano la legge di gravità.

«Treviso ama guardare al sogno, al sogno americano - continua Flory - con le luci e le musiche abbiamo voluto ricreare quella atmosfera. Spero che l’ex palazzo della Borsa continui ad essere location per esposizioni: non so se rifaremo un’altra mostra sulla Nba, non certo lì perché il regolamento americano vieta di tornare allo stesso posto ma, certo, siamo pienamente soddisfatti». Quello è un pianeta ancora troppo distante da noi. «A noi manca soprattutto l’organizzazione, non tanto i giocatori: credo che il nostro movimento debba migliorare la comunicazione. E punterei il dito su tre fattori che da noi ancora mancano o sono insufficienti: diritti tv, college, ossia un campionato giovanile preparatorio al basket pro, ed i playground, i campetti, che sono sempre troppo pochi». In attesa di tutto questo si può continuare a sognare. —

Silvano Focarelli

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