Giuseppe Milan: «Oggi la sfida sono le alleanze e valorizzare giovani energie»

Il presidente della Fondazione Capitale & lavoro: «Treviso è a rischio isolamento, si riparta dalla PaTreVe. Rilanciamo la collezione Salce, sotto utilizzata. Indispensabile un grande polo convegnistico»

Domenico Basso
Domenico Basso assieme a Giuseppe Milan durante l’intervista sulla panchina sulla riva del Cagnan
Domenico Basso assieme a Giuseppe Milan durante l’intervista sulla panchina sulla riva del Cagnan

Una panchina è il luogo giusto per fermarsi. Non solo per guardare indietro, ma soprattutto per prendere la misura di ciò che verrà. Seduti, il tempo smette di correre e diventa pensiero: quello che è stato, quello che è cambiato, quello che ancora manca.

Davanti all’acqua del Cagnan, che scorre lenta come sempre, Giuseppe Milan, presidente della Fondazione Capitale & lavoro, sente invece tutta la velocità di questi decenni. Un’accelerazione improvvisa, quasi vertiginosa, che in poco più di mezzo secolo ha portato questo territorio dall’economia agricola povera alle sfide dell’intelligenza artificiale e della space economy.

Andata e ritorno

Giuseppe Milan guarda il fiume e pensa a un viaggio che è stato un’andata e un ritorno. «Sono partito da zero, da Zero Branco. E oggi sono tornato a zero», dice sorridendo. Ma dentro quella battuta c’è molto di più di un gioco di parole. Accanto a lui, su quella panchina, Milan immagina i suoi genitori: Vittorio e Sidonia. Vorrebbe raccontare loro cosa è successo in mezzo: il salto improvviso, quasi disorientante, che questo territorio ha compiuto in poco più di mezzo secolo.

Fondazione Capitale & Lavoro, Milan: «Treviso è a rischio isolamento»

«Quando sono partito, la campagna veneta era ancora povera, l’economia agricola dominava, in molte case mancavano l’acqua corrente e il bagno – racconta - Oggi, tornando nello stesso luogo, mi trovo a confrontarmi con l’intelligenza artificiale, la space economy, tecnologie che sembrano appartenere a un’altra era».

È questo scarto a dargli una sensazione precisa: vertigine. Non nostalgia, ma stupore. Perché il tempo, negli ultimi cinquant’anni, non si è semplicemente mosso: ha accelerato fino a diventare quasi illeggibile. «Come in quel filmato visto al Muse di Trento, dove le grandi rivoluzioni dell’umanità scorrono lente all’inizio — il fuoco, la ruota, il ferro — e poi, all’improvviso, diventano una sequenza impossibile da seguire a occhio nudo».

Il pericolo più grande

Sedersi su una panchina, allora, serve proprio a questo: osservare, chiacchierare, provare a dare un ordine a un cambiamento che ha travolto non solo una città, ma un intero modo di vivere. E forse anche a spiegare, a chi viene da lontano nel tempo, come da un territorio di emigrazione si sia arrivati a una trasformazione così profonda — piena di opportunità, certo, ma anche di ferite da ricucire, soprattutto sul piano ambientale e urbanistico. Nel suo ragionare sul presente, Giuseppe Milan individua con chiarezza il rischio più grande per Treviso: l’isolamento.

«In un contesto economico e sociale in cui i grandi flussi di capitale umano, finanziario e innovativo si concentrano sempre più negli aggregati metropolitani, una città di medie dimensioni non può permettersi di restare sola - spiega - Padova, con il peso dell’università e delle infrastrutture; Venezia, capitale simbolica e nodo turistico e logistico internazionale, stanno già giocando le proprie carte. Treviso, se non si aggancia a questo sistema, rischia di restare ai margini, di perdere attrattività, giovani, funzioni».

Mettersi in rete

È qui che Milan richiama un’esperienza concreta, già avvenuta: quella delle associazioni di categoria. Prima Treviso e Padova, poi l’allargamento a Venezia e Rovigo. Un percorso non semplice, che ha richiesto a ciascun territorio di rinunciare a qualcosa, di superare gelosie e identità rigide.

Ma proprio per questo efficace: perché ha costruito una massa critica, una capacità di rappresentanza e di visione che da soli non sarebbe stata possibile. «Quella scelta — sottolinea — non ha cancellato le specificità, le ha messe in relazione. Ha dimostrato che si può crescere insieme senza perdere identità, che la collaborazione non è una resa ma uno strumento di sviluppo».

E aggiunge: «La PaTreVe, rimasta finora un acronimo, potrebbe ripartire da lì: non come progetto calato dall’alto o come sommatoria amministrativa, ma come spazio reale, vissuto, connesso. Uno spazio in cui Treviso giochi un ruolo attivo, proprio perché è il soggetto più fragile: colui che ha più interesse a costruire ponti». Servono infrastrutture, collegamenti, una visione condivisa.

«Ma soprattutto serve qualcuno che trasformi l’idea in rappresentazione concreta: un disegno visibile, discutibile, migliorabile, capace di accendere il dibattito pubblico – puntualizza Milan - Perché senza una visione che si possa vedere e toccare, tutto resta parola. E di parole, Treviso, ne ha già sentite abbastanza».

Dare identità

Nel suo sguardo sulla Treviso di oggi emerge una città che rischia di perdere continuità e profondità. «Non mancano gli eventi – dice - ma spesso sono episodi isolati: grandi “iniezioni” di entusiasmo che durano il tempo di una sera e poi si dissolvono. Quello che serve davvero sono elementi capaci di dare identità nel tempo, di costruire un racconto che non si esaurisca». In questa prospettiva, Giuseppe Milan indica nella Collezione Salce una risorsa straordinaria, ancora largamente sottoutilizzata.

«Non una semplice mostra da visitare ogni tanto, ma una miniera culturale capace di alimentare in modo continuo mondi diversi: produzione, turismo, moda, spettacolo, economia, storia civile. Un patrimonio che potrebbe diventare il perno di un sistema di eventi, dibattiti, percorsi di ricerca e formazione, magari in dialogo con l’università, capace di generare contenuti nuovi senza mai esaurirsi. Così com’è oggi rischia invece di restare “parcheggiata”: preziosa, ma silenziosa». Accanto alla cultura, c’è poi una mancanza molto concreta: Treviso non dispone di uno spazio adeguato per ospitare grandi momenti di aggregazione.

«Assemblee, convegni, incontri di livello nazionale finiscono per svolgersi altrove, perché mancano contenitori adatti – evidenzia Milan - È un limite che pesa non solo sul sistema economico, ma sulla capacità stessa della città di essere luogo di confronto e di scambio. Un polo convegnistico — magari legato a una più ampia riqualificazione urbana — sarebbe uno strumento decisivo per ridare centralità e visibilità a Treviso. E secondo me l’area della dogana potrebbe essere adatta per una importante infrastruttura aggregativa».

La fuga dei ragazzi

Infine, il nodo più delicato: i giovani. La fuga verso altre città non è solo geografica, ma simbolica. È il segnale di una percezione diffusa: qui non si vede una proposta di futuro. Per invertire questa tendenza, secondo Milan, non bastano infrastrutture o grandi opere. Serve qualcosa di più profondo: la partecipazione.

«Aprire le imprese, i percorsi professionali, persino il capitale, alle nuove generazioni. Coinvolgerle non come spettatori, ma come protagonisti. Treviso ha la necessità di intercettare, valorizzare e liberare l’energia e la creatività dei giovani per far crescere questo territorio». Cultura viva, spazi per il confronto, fiducia nei giovani: sono questi, per Giuseppe Milan, i tre pilastri su cui Treviso può ancora costruire una nuova stagione.

Non partendo da zero, ma rimettendo in circolo ciò che già possiede — e che aspetta solo di essere messo davvero in movimento. È qui che si gioca la sfida più grande: ricostruire fiducia, visione e futuro. Non inventando tutto da capo, ma rimettendo in circolo ciò che Treviso già possiede — cultura, competenze, capitale umano — e scegliendo finalmente di farlo dialogare.

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