Dalle corna alle finte malattie: Giuseppe Lopresti, il detective che custodisce i segreti dei trevigiani

E’ l’investigatore privato che per 40 anni ha seguito tracce in città e fuori. «C’erano tanti tradimenti, ora si sta più attenti. Le finte malattie, le sette, il caso Rambaudi...»

Federico Cipolla
Giuseppe Lopresti
Giuseppe Lopresti

Ha investigato sui vizi dei trevigiani per quarant’anni, diventò custode dei segreti più inconfessabili. Giuseppe Lopresti,investigatore privato, calabrese trapiantato in città da ormai 50 anni, conosce i trevigiani come nessun altro.

Com’era Treviso quand’è arrivato nel1971?

«A suo tempo la trovai peggiore di oggi; per nulla vivace. Uscivi e le piazze erano vuote, non era tenuta molto bene. C’erano sindaci che pensavano più a loro stessi che alla città.Ora è molto migliorata. Il mio lavoro invece è cambiato meno, riguarda sempre l’intimo delle persone».

Quando ha aperto perché si rivolgevano a lei?

«I tradimenti andavano per la maggiore, ora invece sono marginali. Più che per le corna oggi vengono da me per il post, quando devono quantificare gli assegni di mantenimento. L’ex marito da titolare dell’azienda che diventa dipendente con un piccolo stipendio... Poi quando scopriamo che è l’amministratore di fatto però sono guai».

Perché non vengono più per le corna? Sono sdoganate?

«La morale si è evoluta.Una volta eravamo quelli del delitto d’onore...Il tradimento c’è sempre, ma ora ci sono meno soldi e ci si sta più attenti».

Si ricorda il primo caso?

«Una delle prime persone a entrare nel mio ufficio è stata una signora mestamente vestita, con un sacchetto nero di plastica mezzo rotto in mano. Mi disse che era preoccupata perché suo figlio si era fidanzato con una messicana che si era subito concessa. Per lei era una questione morale, e mi chiese di indagare per verificare che fosse una brava persona. Aveva anche paura dei legami col narcotraffico. Dopo i primi accertamenti le dissi che non c’erano ombre. Mi chiese della famiglia. Le dissi che viveva in Messico, mi rispose di andarci. Le spiegai i costi che avrebbe comportato, e tornò fuori quel sacchetto nero pieno di schei “Con questi vada in  Messico”, disse. Andai e scoprii che non c’era nulla di strano, era una famiglia perbene, proprietaria di alcuni negozi. In Messico ho dovuto tornarci pochi anni dopo».

Per cosa?

«La moglie di un tale gli aveva detto che voleva fare un lungo viaggio, da sola ,per ritrovare sé stessa. Lui non le credeva e mi chiese di indagare. Facciamo i primi accertamenti e già all’aeroporto scopriamo che viaggia con un “amico”. Superano i controlli ognuno peri fatti suoi, poi al gate si vede che si conoscono, ma nulla di compromettente. Arriviamo a Città del Messico e poi a Merida, dove alloggiamo nello stesso hotel della coppia. E lì non ci sono più dubbi. Chiamo il cliente e gli racconto quello che abbiamo scoperto. Lui prende un volo per il Messico e ci raggiunge. Nella piazza di Merida ci sono delle panchine in cui ci si siede faccia a faccia. La coppia è lì che si sbaciucchia, lui arriva in quel momento. Dice all’uomo di andarsene, e si siede davanti alla moglie».

Mi sta dicendo che le persone vogliono scoprire il partner in flagranza?

«Vogliono vedere con i loro occhi perché spesso non ci credono».

Lei è stato ingaggiato anche dal Treviso Calcio per pedinare Rambaudi...

«Il presidente era preoccupato perché il giocatore non rendeva, era svogliato. Noi indagammo su Rambaudi, scoprendo alcune cose, come la frequentazione con alcune donne e nei casinò. Ma è una storia finita poi in un processo (la querela venne ritirata da Rambaudi in cambio di un risarcimento da 100 milioni da parte del presidente)».

Lavori con industriali?

«Concorrenza sleale ne facciamo tanta. Soci che si dividono, siglano patti di non concorrenza che poi non rispettano...».

Genitori preoccupati per i loro figli?

«Negli ultimi anni è iniziato questo fenomeno. Vogliono sapere cosa fanno i figli, con chi stanno, se fanno parte di una baby gang. Molti però vengono qui per avere le prove che i figli sono vittime di bullismo, rapine, o stalking. Perché senza prove le querele è difficile che abbiano esito».

Altre tendenze degli ultimi anni?

«Le finte malattie: persone che si allungano il weekend, oppure operai che si mettono in malattia e invece stanno lavorando in nero altrove. Attenzione: è una doppia truffa, allo Stato e al datore di lavoro».

Il suo caso più difficile?

«Una setta che si era insinuata in una fabbrica, sobillando gli operai e in particolare una persona. Stava portando la ditta al fallimento. Arrivava una commessa, che veniva evasa, ma il bonifico veniva intestato ad un altro. La ditta procedeva con gli ordini, ma non incassava. I problemi sono emersi quando il titolare ha chiesto a un cliente che venisse pagata una fattura. E ha scoperto che l’iban del pagamento era diverso: il ragioniere dirottava alcuni fondi su un altro conto, legato a questa setta. È stata un’indagine complessa abbiamo parlato con clienti e dipendenti. La truffa era veramente enorme».

È un lavoro pericoloso?

«Potenzialmente sì. Ma solo una volta una mia agente è stata picchiata».

I trevigiani sono cambiati?

«Sì, in meglio. Una volta il trevigiano era di estrazione contadina, man mano si è evoluto. C’è stato un periodo in cui si invitavano i trevigiani a non affittare casa ai terroni, ho fatto un po’ di casino quella volta. Ma ora non succede più,è gente bravissima, che ho imparato a stimare».

Lei oggi si sente un po’ trevigiano?

«Il cuore resta legato a casa, ma io devo ringraziare questa città. Non avrei potuto fare questa vita in Calabria o in Sicilia. Ci vado in ferie, sono casa. Ma la mia vita e la mia famiglia sono qui».

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso