Federico Pupo, il direttore artistico e la sua musica lunga quarant’anni

Il musicista diventato il direttore artistico del prestigioso teatro Carlo Felice di Genova: «La mia opera preferita è la Bohème, piango sempre ogni volta»

Lorenza Raffaello
Federico Pupo
Federico Pupo

Curve sinuose e quattro corde. Come un violino la carriera di Federico Pupo è fatta di momenti diversi, alcuni più lineari e altri, invece, più profondi. Personalità di spicco della musica trevigiana ora dirige uno dei teatri più prestigiosi d’Italia, quello di Genova, il Carlo Felice. Come se i talenti trevigiani fossero costretti ad emigrare per veder riconosciuti i loro meriti, ma non è questo il caso.

Nella sua vita, Federico Pupo è stato studente di violino al Liceo musicale “Manzato” di Treviso (parte tutto da lì), insegnante nelle scuole dell’obbligo, ma anche a Ca’ Foscari e al conservatorio di Venezia, Padova e Ferrara. Ha suonato nell’Orchestra Filarmonia Veneta e per le migliori produzioni.

Alatere, la parte dirigenziale: dal 1995 è stato direttore artistico di Asolo Musica-Veneto Musica, associazione che realizza oltre 150 manifestazioni musicali, nel 1997 diventa capo servizio programmazione ed organizzazione artistica al l’Ente Lirico Arena di Verona, per cui è stato nominato l’anno successivo, direttore artistico del 76° Festival Areniano. Nel 2023 il ritorno, la Regione Veneto lo ha nominato come componente del Consiglio di Indirizzo della Fondazione Arena di Verona.

Ancora è stato direttore artistico per le attività lirico-musicali della Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, direttore organizzativo di Teatri Spa, società strumentale della Fondazione Cassamarca di Treviso, direttore della Fondazione Antonio Salieri di Legnago, direttore artistico della Stagione Concertistica del Teatro Comunale di Monfalcone, fino ad oggi. A Genova.

Si sente un rappresentante della trevigianità fuori dai confini provinciali?

«Ogni volta che si arriva in una nuova comunità si porta qualcosa. Qui a Genova ho preso il posto di un altro trevigiano, Pierangelo Conte, e ho ritrovato vecchi amici, facendo questo lavoro qualcosa ci si porta dietro, la cosa che mi sorprende è che quando dico che vengo da Treviso, tutti sono concordi nel dire che la città è bellissima. Nessuno l’ha mai criticata».

Quali sono le sfide per una persona che è abituata a portare la sua arte in giro?

«Sono una persona fortunata perché a differenza di quanto succede normalmente a chi fa il mio mestiere e ha sempre la valigia pronta, da quando sono un ragazzino la mia casa è sempre stato il Teatro Comunale di Treviso e per questo mi

ritengo assolutamente fortunato, perché lavorare a casa propria è sempre il massimo e questo mi ha permesso anche a volte di dire no a delle proposte che mi avrebbero portato fuori dalla città, magari in luoghi in teatri di prestigio, ma comunque lontano».

Quale è l’insegnamento che lascia ai suoi studenti?

«C’è una frase che ripeto sempre: il teatro è una struttura complessa dove lavorano più persone con tempi e responsabilità diverse, ma con uno stesso obiettivo, un po' come un ristorante. Un piatto di spaghetti si fa allo stesso modo nel grande ristorante, come in una piccola trattoria. Quindi la cosa interessante è vedere come si costruisce allo stesso modo la stessa pietanza, naturalmente con ritmi e con organizzazioni completamente diverse. Il Carlo Felice, che è un riferimento per la Liguria e l’Italia, è un teatro molto grande dal punto di vista strutturale e le responsabilità aumentano».

Ha parlato di responsabilità, parola che riecheggia anche relativamente al caso “Venezi” alla Fenice di Venezia, cosa ne pensa della questione?

«La mia sensazione è che la cosa sia diventata più grossa di quella che è in realtà. Tutti hanno dato un’opinione in merito, tutti hanno commentato anche senza conoscere bene la questione. Una cosa polemicamente la dico: quando gli studenti del conservatorio esprimono la loro solidarietà benissimo e faccio però la domanda a loro, quanti di loro vanno alla Fenice, vanno ai concerti, vanno ad ascoltare la musica?».

Cosa le manca di Treviso?

«Treviso è casa mia, però devo dire che Genova l’ho riscoperta una città veramente molto bella e dove mi trovo veramente bene, in passato l’avevo frequentata solo per il teatro. Poi è chiaro che la casa manca sempre, torno volentieri e devo dire con sottile compiacimento che mi capita spesso di venire fermato da vecchie abbonati e da amici che seguono il mio lavoro ed è una cosa molto bella».

Come giudica la sua carriera quarantennale?

«Potrei dire che la storia della mia carriera è sempre stata quella di qualcuno che mi chiede come si risolve un problema e io riesco a trovare una soluzione. A volte è una questione di fortuna, a volte di merito. Comunque, di essere la persona giusta al momento giusto. Questo è l’aspetto che ritrovo in tutta la carriera».

E se dovesse fare un bilancio?

«La prima avventura in teatro è stata 50 anni fa quando ho fatto la comparsa e da quella volta ne è passata di acqua sotto i ponti, ho visto e conosciuto tanta gente. Mi stupisco a volte di come ho potuto conoscere così tanta gente straordinaria, artisti meravigliosi, che possono sembrare anche scontrosi, ma lo sono solo per la tensione prima dello spettacolo. Per questo insegno ai miei studenti che la nostra funzione è anche quello di creare delle condizioni di serenità nel lavoro».

Quale è la sua opera preferita?

«È difficilissimo perché i per un musicista più che l'opera è la musica. Quindi potrebbe essere Bach o Beethoven. Come opera, la mia preferita è la Bohème. Piango sempre ogni volta».

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