Lorenzo Bolzonello, il tanatologo che insegna a non aver paura della morte

Lo psicologo tanatologo trevigiano, 33 anni, collabora anche con l’Advar ed è cerimoniere ai funerali laici: «L’elaborazione del lutto insegna ad apprezzare la vita. Parlatene anche con i bambini senza raccontare bugie»

Rubina Bon
Lorenzo Bolzonello, psicologo tanatologo
Lorenzo Bolzonello, psicologo tanatologo

Lavora a contatto con la morte e, giura, di imparare così ad apprezzare sempre più la vita. Lorenzo Bolzonello, 33 anni, trevigiano, è uno psicologo tanatologo che collabora anche con Advar. Una professione nuova con radici antichissime, per accompagnare nella gestione del lutto in un mondo che vuole sempre più allontanare il dolore.

Bolzonello, di cosa si occupa un tanatologo?

«L’obiettivo di un tanatologo è sensibilizzare da un punto di vista sociale e culturale le persone affinché maturino una consapevolezza della propria morte, perché possano vivere una vita più piena e più consapevole. Mi occupo in particolare di percorsi di elaborazione del lutto. L’altra parte del mio lavoro ha a che fare con la ritualità: vengo chiamato come cerimoniere ai funerali laici».

Come si diventa tanatologo?

«Ho sempre voluto fare lo psicologo e mi sono laureato all’Università salesiana Iusve a Mestre. Poi ho frequentato il master in Death Studies & The end of Life all’Università di Padova».

Quanto è difficile oggi parlare di dolore e di morte?

«La morte è sempre più estranea alle nostre vite, spesso viene considerata come il fallimento di qualcosa, l’errore di qualcuno. Si è perso nel tempo l’aspetto della naturalità della morte, oggi sempre più vista come estranea anche quando l’età della persona è importante. Invece è fondamentale familiarizzare con un aspetto naturale della vita. Oggi la morte è diventata inaccettabile anche in quei frangenti in cui è la naturale conclusione».

La pandemia ha influito nel rapporto con la morte?

«Il Covid è stato devastante per le persone che hanno avuto una perdita significativa e che non hanno potuto vivere momenti importanti come l’esposizione della salma o il funerale. Sono passaggi fondamentali, senza i quali si sono create cicatrici indelebili nelle persone che per questo provano ancora molta rabbia. Diverso è per chi non è stato particolarmente colpito dal Covid: c’è chi, temo, non abbia compreso quegli aspetti di vulnerabilità che riguardano l’esistenza».

Nella sua professione è preferibile essere persone di fede?

«Personalmente sono credente, ma la maggior parte delle persone che si occupa di ritualità laica non lo è».

Cosa ne pensa dei funerali spesso sempre più show?

«La ritualità legata a una religione ha uno sguardo sulla comunità, mentre la ritualità laica è concentrata sulla personalizzazione del rito. A mio parere i due saluti possono convivere ed essere integrati perché concorrono al medesimo obiettivo. Ma servono spazi, tempi e modi diversi».

Oggi si tende a proteggere sempre più i bambini dal contatto naturale con la morte, eppure la morte è presente in tivù, su Internet e nei videogames...

«I bambini hanno bisogno della verità. Invece spesso per affrontare il tema morte, gli adulti dicono ai piccoli una marea di bugie che creano confusione e anche sensi di colpa. Non si protegge un bambino se si decide di non portarlo a un funerale, dove invece ha la possibilità di fare esperienza degli strumenti utili – penso al pianto, ma anche alla ritualità – per affrontare un momento critico. Alle domande dei bambini va sempre data risposta, altrimenti cercheranno risposte altrove, su Internet ad esempio: così però si espongono a rischi».

Bolzonello durante una conferenza
Bolzonello durante una conferenza

Come si organizza un rito laico?

«Incontro i familiari per cogliere quale sia l’eredità umana del defunto. Trasformo queste idee in un discorso, che può essere seguito dagli interventi spontanei dei presenti alla cerimonia, e valuto se ci possano essere dei simboli con cui accompagnare il saluto. Capita che a volte le persone pensino di potersi arrangiare a condurre una cerimonia laica. Ma se il momento non è curato, si rischia di trovarsi in situazioni imbarazzanti».

Lei lavora a contatto con il dolore: come si protegge?

«Quando incontro le persone, stanno vivendo un momento difficile della loro vita. Ma quando le saluto dopo un rito laico o al termine di un percorso di elaborazione del lutto, c’è sempre un’apertura alla vita, un grazie, un respiro. Mi sento un privilegiato nel fare questo lavoro e mi proteggo con una vita privata che sia il più appagante possibile. Il contatto con le persone che affrontano un grande dolore mi ricorda giornalmente alcune piccole e grandi fortune che ho e mi aiuta anche a prendere decisioni rispetto alle priorità da seguire nella mia vita. Facendo parte di una équipe in Advar, ho anche la fortuna di potermi confrontare con i miei colleghi».

Ha avuto difficoltà nel far conoscere e capire all’esterno la sua professione?

«Non direi difficoltà per il tipo di professione, quanto più a volte per la mia giovane età e per il fatto che sia un maschio in un tipo di lavoro maggiormente femminile».

Cosa ne pensa del dibattito sull’eutanasia?

«Credo sia importante che le persone siano informate e possano scegliere. Ognuno deve essere consapevole di poter esprimere il proprio sentire. Sono dell’idea che aggiungere libertà non toglie niente agli altri. Non c’è solo l’eutanasia, penso anche alle disposizioni anticipate di trattamento (il testamento biologico, ndr), ancora pochissimo diffuse. Questa è una legge che può fare la differenza. Potersi esprimere prima ritengo sia un grande dono verso i propri cari: lasciare detto prima quello che si vuole venga fatto per sé è un modo per aiutare i familiari ad agire in un momento in cui può non esserci lucidità, quasi facendo una carezza a chi ha lasciato le proprie disposizioni. Questo atteggiamento dovrebbe valere anche per il funerale: i grandi della Terra, tra i primi atti dispongono tutto per le esequie. Noi invece ragioniamo come se non dovessimo morire mai». 

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Chi è

Lorenzo Bolzonello, 33 anni, trevigiano di Santa Bona, è psicologo tanatologo. Si è laureato in Psicologia all’Università salesiana Iusve a Mestre, proseguendo poi con la frequenza del master in “Death Studies & The end of Life” all’Università di Padova.

Lavora in libera professione e collabora con l’equipe dell’Advar. Tra i filoni di cui si occupa maggiormente ci sono i percorsi di elaborazione del lutto per i familiari dei defunti, il sostegno dei caregiver che si occupano di persone con demenza e l’attività di cerimoniere ai commiati laici.

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