Una diga e due bacini per fermare gli allagamenti del Piave

Invasi per 100 milioni di metri cubi da realizzate a Ciano, Falzè, Spresiano contro le esondazioni. La Regione dà mandato ai tecnici di definire i costi

TREVISO. Una diga capace di trattenere un volume di circa 40 milioni di metri cubi d’acqua, e due casse di espansione per accoglierne altri 60 milioni. Ecco l’ultimo progetto per la messa in sicurezza del fiume Piave, un piano – ancora di massima – che prevede l’escavazione di tre punti lungo il letto del fiume per creare aree dove guidare le piene del fiume. In totale 100 milioni di metri cubi di vasche da creare, buona parte delle quali da scavare.

Il Piave nella piena del '66
Il Piave nella piena del '66

D’Alpaos: «La situazione è gravissima. Senza interventi, rischi altissimi»
Il professor Luigi D'Alpaos

A dare la spinta alla realizzazione delle opere sono vari elementi. In primis l’amara constatazione che negli ultimi 50 anni, come ammette nero su bianco la stessa la Regine, «a vari studi e indagini non sono seguiti interventi diretti a mitigare l'esposizione al rischio alluvione del territorio». A seguire il fatto che «il Piave» scrive sempre la Regione, «è fra i corsi d'acqua per i quali, in mancanza di opere di difesa, il rischio alluvione è particolarmente elevato e potrebbe comportare, oltre a ingenti danni materiali, il pericolo concreto di perdita di vite umane», come già avvenuto nel 1966. Infine uno studio presentato in Regione a fine aprile e diventato il volano per la avviare la macchina operativa. A firmarlo un luminare: l’ingegnere idraulico bellunese Luigi D’Alpaos, ordinario a Padova. Uno che non ha paura di parlare di dighe e scavi, ma soprattutto di numeri, anche se scomodi.

Il piave
Il piave

La diga a Falzè di Piave. Lo studio infatti considera necessaria la realizzazione di una diga a Falzè di Piave, contestatissimo piano già avanzato negli anni Sessanta (si ipotizzava un invaso da 90 milioni di metri cubi), poi mitigato sotto l’onda delle proteste negli anni Ottanta (60 milioni di portata), congelato negli anni Novanta nonostante fosse considerato dai tecnici la soluzione più adatta. D’Alpaos lo rilancia, ma ricalcolando tutto. Inutile una diga monstre, meglio un bacino ridotto (40 milioni di metri cubi) che non necessiti d’interventi per la realizzazione di argini e terrapieni di contenimento dell’acqua, ma che sia sostenuto da un altro invaso più a monte, da realizzarsi a Ciano.

La maxi cassa di espansione nelle cave a Ciano. Se è ancora da definire con esattezza l’area che dovrebbe essere trincerata dalla diga di Flazè (comunque a nordovest dell’abitato), è ben chiara l’ubicazione della cassa di espansione di Ciano, una vasca capace dai 35 ai 45 milioni di metri cubi che verrà realizzata sul lato destro del fiume (spalle a monte) nell’ampia area sfruttata anni per attività di cava. Un bacino di sassi e ghiaia da preparare e scavare per prepararlo alla piena, esattamente come si prevede di fare in un altro sito più a valle.

Il grande invaso di Spresiano. Lì si prevede di realizzare un altro bacino di contenimento della piena, una cassa di invaso da 10 milioni di metri cubi d’acqua (anche questa tutta da scavare e preparare) giudicata «preferibile» rispetto agli altri progetti lanciati in questi anni e riferiti a casse di espansione in zona Maserada e Ponte di Piave. In questo caso pare che le zone deputate possano essere due, sulle opposte rive del fiume. «Tale soluzione», spiega la Regione, «non arrecherebbe ulteriori problematiche ai rilevanti scambi fra acque superficiali e falde a valle di Ponte della Priula e potrebbe essere integrata» con le altre opere.

Ora quantificare i costi. Tra progettazione, studi e lavori si parla di opere milionarie, ma la Regione ha deciso (pare) di non fermarsi alle carte e passare ai fatti affidando al suo settore interno la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica per la messa in sicurezza idraulica del Piave individuando e quantificando la proposta migliore, forte oggi anche del parere di D’Alpaos.

Le aree golenali occupate e i bacini idrici a monte. Capitolo a sè fanno, in tutto questo progetto, le aree golenali naturalmente deputate allo svaso dell’acqua in eccesso, ma oggi occupate in tutta l’asta del fiume da case, capannoni e costruzioni di vario genere che rendono impossibile sfruttarle in caso di piena e necessario l’intervento dei soccorsi per salvare i residenti dall’allagamento quando gli argini cedono. Per operare, in attesa di interventi strutturali, non resta oggi che lavorare sugli invasi a monte, quelli con funzioni idroelettriche, e che se vogliono essere utilizzati anche per prevenire esondazioni del fiume «vanno svuotati entro fine estate», spiegano i tecnici.

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