Adamo: «Le difficoltà si sentono ma le aziende sono solide e il credito più consapevole»

Eugenio Adamo, direttore generale di Banca delle Terre Venete: «Negli ultimi anni patrimoni rafforzati e fatti molti investimenti». L’istituto di credito è partner del gruppo Nem per l’evento Best Performer del Montebellunese, lunedì 29 settembre a villa Benzi a Caerano. Ecco come iscriversi gratuitamente

Maria Chiara Pellizzari
Eugenio Adamo, direttore generale di Banca delle Terre Venete
Eugenio Adamo, direttore generale di Banca delle Terre Venete

«Dopo il forte rimbalzo post Covid del 2021 e la buona crescita del 2022, a partire dal 2023 la produzione delle imprese venete ha mostrato andamenti stagnanti o in contrazione. Il Veneto resta una delle locomotive del Paese, insieme a Lombardia ed Emilia Romagna e al momento, dal nostro osservatorio, non stiamo registrando un aumento significativo delle insolvenze, anche se ci sono parecchi elementi di attenzione e preoccupazione, stante il quadro di incertezza generale».

A sottolinearlo Eugenio Adamo, direttore generale di Banca delle Terre Venete (gruppo Iccrea), partner del gruppo Nem per l’evento Best Performer del Montebellunese, lunedì 29 settembre a Villa Benzi, a Caerano di San Marco (clicca qui per l’iscrizione gratuita all’evento)

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Direttore, qual è la fotografia dell’economia locale?

«In Veneto ci sono oltre 460 mila imprese attive, circa l’8% del totale nazionale, che producono oltre il 9% del Pil italiano. Il 94% di queste sono Pmi anche se esistono circa 2.200 aziende con un fatturato superiore ai 20 milioni. È un territorio vocato all’export e questo rende le nostre imprese forti, ma anche più esposte alle tensioni internazionali, che sono fra le cause del calo della produzione registrato negli ultimi due anni. Ma nel complesso il tessuto imprenditoriale rimane resiliente».

In che modo questa resilienza si riflette nei rapporti con la banca?

«Le aziende, pur con fatturati in molti casi ridotti, continuano in prevalenza ad onorare i loro impegni. Negli ultimi anni hanno investito in digitalizzazione, automazione e flessibilità produttiva. Inoltre, oggi ricorrono meno al debito bancario rispetto a qualche anno fa. Nel 2012 l’ammontare complessivo degli impieghi bancari era superiore a 97 miliardi, che si sono ridotti a 62 a marzo 2025, con una discesa costante, tranne la parentesi del Covid. Sulla contrazione della domanda pesano sicuramente diversi fattori, tra cui l’incertezza che frena gli investimenti, ma è indubbio che le aziende hanno rafforzato i propri livelli di capitalizzazione, consapevoli che una maggiore indipendenza finanziaria è un fattore fondamentale anche per l’accesso al credito. È un segnale di maturità del sistema produttivo. Pur in un contesto di flessione del credito, questo rimane una fonte importantissima di finanziamento per sostenere il ciclo commerciale - produttivo delle imprese e le loro necessità di investimento».

Come è cambiato l’approccio al credito?

«Oggi non basta più acquisire garanzie a supporto dei prestiti. Le regole europee impongono di valutare la capacità dell’azienda di produrre flussi di cassa in grado di far fronte ai propri impegni. Questo comporta un’analisi più approfondita della storia economico-finanziaria e anche dei business plan delle aziende, con una collaborazione più stretta tra banche, imprenditori e consulenti. È un cambiamento positivo: significa che il credito viene concesso in modo più consapevole e quindi in definitiva più sano e sostenibile».

Quanto pesano i criteri Esg?

«Sempre di più. L’acronimo Esg – Environment, Social, Governance – sintetizza gli standard che le stesse banche devono rispettare in base alla normativa europea e che allo stesso tempo dobbiamo valutare nei nostri clienti, anche attraverso dei questionari. Le aziende che investono in sostenibilità e buona governance possono ottenere vantaggi, anche sul costo del credito. È una direzione che premia le realtà più lungimiranti».

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