Pino, il mago delle carte poi pentito «Soldi senza sporcarsi di sangue»

Cruciale per spiegare l’espansione ’ndranghetista. A Reggio Emila comandava ma senza armi
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.da sx BOLOGNINO NOEMI, SERGIO E MICHELE
SALMASO.CONFERENZA STAMPA GS GALLIERA.da sx BOLOGNINO NOEMI, SERGIO E MICHELE



Pino Giglio è uno dei motori economici della cosca di ’ndrangheta attiva in Veneto e ora al centro dell'inchiesta Camaleonte, nella quale risulta indagato. È un esperto delle cosiddette sovrafatturazioni e quando decide di pentirsi, nel 2016, ai pm della Dda di Bologna Marco Mescolini e Beatrice Ronchi racconta come, già nei primi anni Novanta, in piena Tangentopoli, avesse iniziato la sua attività: «Facevo dieci di lavoro e ne fatturavo venti o trenta diciamo. Quindi già da lì avevamo iniziato un percorso di super fatturazione. Io poi restituivo l'imponibile e mi tenevo l'Iva per intero».

Un meccanismo rodato poi negli anni e diventato un moltiplicatore di ricchezza finito nell'orbita dei Grande Aracri. Quando era in attività con il clan cutrese, la potenza di fuoco di Pino Giglio era infatti ingente ma non prevedeva armi. L'imprenditore di Isola Capo Rizzuto, 51 anni, è stato per anni l'esempio del calabrese che c'è l'ha fatta. Ricco, un vero milionario agli occhi dei più, con aziende di trasporti, locali e ditte edili, ma in realtà utilizzato come bancomat dalla cosca Grande Aracri, contro la quale si è rivoltato poco prima dell'inizio del processo Aemilia, il più grande contro la 'ndrangheta al Nord, con 249 imputati e celebrato tra Reggio Emilia e Bologna, dove anche Giglio aveva stabilito i suoi affari. Il pentito è il mago delle fatture false, con diramazioni tra la Calabria e l'Emilia. E' considerato un collaboratore centrale dalle cosca egemone sotto il Po e che, sotto l'egida dei fratelli Bolognino, in via ormai autonoma ha messo radici in Veneto, come confermato dall'inchiesta Camaleonte, che conta 59 indagati e ha portato all'arresto di 33 persone. L'arma di Giglio è la carta, quella con la quale stampa fatture false o in parte inesistenti, che generano profitti illeciti ai danni dello Stato per milioni di euro. Un meccanismo a disposizione delle aziende degli affiliati alla cosca, e che ha consentito loro nell'ultimo ventennio di diventare ricchi senza sporcarsi più le mani di sangue o con il traffico di droga. «Lei che rapporti ha avuto in relazione proprio all'organizzazione della 'ndrangheta?» gli chiese nel 2016 il pm Mescolini. Giglio rispose limpido: «Ma sa, lì a Reggio Emilia il guadagno maggiore che arrivava alla 'ndrangheta era la fatturazione. Penso che questa sia stata capita, diciamo, perché lì c'era un giro di fatturato elevato». Un modello poi esportato nell'altrettanto ricco Veneto e in favore anche di imprenditori allettati da facili guadagni e ora finiti in una inchiesta per mafia.

Oltre alle minacce e all'usura, ci sono infatti i reati fiscali finiti al centro dell'operazione della Dda di Venezia, messa a segno dai carabinieri con l'aiuto della guardia di finanza, necessaria proprio per ricostruire le trame delle false fatturazioni, dietro le quali si cela spesso Giglio con le sue società, messe a disposizione anche dei Bolognino, con i quali ha avuto in passato rapporti diretti, come confermò quando rivelò tutto alla Dda di Bologna. Proprio il pentito è colui che ha già fatto salire il grado criminale del processo Aemilia, che gli imputati volevano ricondurre a un semplice processo sulle false fatture. Le sue dichiarazioni hanno svelato l'esistenza dell'associazione mafiosa: le fatture false e il reimpiego favorivano il clan, facendo scattare pesanti condanne. Solo Michele Bolognino è stato condannato in primo grado nel processo Aemilia a 20 anni e 7 mesi nel rito ordinario più altri 17 anni e 4 mesi per il reato di associazione a delinquere in abbreviato. In totale i 120 imputati hanno subito condanne per 1.200 anni di carcere. Ora, a corroborare le tesi della procura antimafia di Venezia ci sono i racconti di Giglio, grande accusatore della 'ndrangheta legata ai Grande Aracri di Cutro, già giudicato attendibile dalla Dda di Bologna, che ha spiegato le trame del sodalizio. —



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