Picchiato e soffocato: «Ci ha aggredito dopo aver bevuto, la nostra è stata legittima difesa»

Vittorio Veneto. «Sono stata aggredita. Lui era un tipo violento quando beveva. Ho avuto paura e mi sono difesa. Angelica mi ha soltanto aiutato. È stata legittima difesa». Patrizia Armellin e Angelica Cormaci l’hanno detto ai carabinieri, ieri notte, poco dopo le 2.20 quando li hanno fatti intervenire nella loro abitazione di via Cal dei Romani. E l’hanno ripetuto nel pomeriggio davanti agli investigatori e al pubblico ministero Davide Romanelli durante l’interrogatorio. «Abbiamo ucciso per difenderci». Ma evidentemente gli investigatori non hanno creduto alle due donne. L’accusa nei loro confronti è quella di omicidio volontario. Ci sono tanti tasselli che non quadrano nelle versioni delle due donne dimesse dall’ospedale con qualche contusione guaribile in appena una settimana. Non tali da giustificare un’aggressione così brutale.
La scena del delitto
Nella camera, dove è stato trovato, disteso sul letto, il corpo di Paolo Vaj, sono più che evidenti i segni di una colluttazione. Il mobilio a terra, qualche schizzo di sangue. Sul pavimento anche il bastone di legno per bloccare gli scuri macchiato di sangue. Cos’è successo veramente nel cuore della notte al civico 7/2 di via Cal dei Romani? Per rendersi conto di persona, sul posto sono arrivati il magistrato e il medico legale Alberto Furlanetto che lunedì riceverà formalmente l’incarico dalla procura per effettuare l’autopsia sul corpo del 57enne milanese. Sul corpo, in particolare sul capo e alla nuca, sono stati trovati i segni dell’aggressione a bastonate. Sopra il volto c’era ancora un cuscino. Si è trattato di un delitto d’impeto, come sostengono le due donne, oppure c’è addirittura una premeditazione dietro all’omicidio? I conti nella casa di via Cal dei Romani non tornano. L’autopsia sarà un passaggio cruciale dell’indagine che vede indagate per omicidio volontario le due donne. L’esame autoptico dovrà infatti stabilire non solo se Paolo Vaj è morto per soffocamento o per le lesioni provocate dalle bastonate.
Lo strano silenzio
Ma dovrà anche stabilire a che ora risale la morte di Paolo Vaj. È stato ucciso davvero poco prima che fosse lanciato l’allarme al 112, verso le 2 della notte? Anche questo è un punto importante da chiarire. I parenti più stretti di Patrizia Armellin, la mamma Cornelia Pradal, il papà Sergio e lo zio Gabriele Pradal, che abitano nello stesso edificio, non hanno sentito alcun rumore provenire dall’ala dove la figlia conviveva con Vaj e l’amica. «Ci hanno svegliato i carabinieri», hanno detto. Possibile che nessuno non abbia sentito un urlo provenire dall’appartamento vicino, data la brutale aggressione? Nemmeno i vicini di casa, la cui camera da letto si affaccia sul cortile della casa del delitto, hanno sentito nulla. «Siamo stati risvegliati dal suono delle sirene della pattuglie dei carabinieri e delle ambulanze», testimoniano tutti. Altro particolare interessante è il fatto che mai prima di ieri nessuno dei protagonisti della triste vicenda erano stati segnalati alla caserma di via Boni. Mai una denuncia, nonostante, nelle ore successive al delitto, all’improvviso il ritratto di Paolo Vaj sia quello di un uomo aggressivo che non disdegnava di bere. Negli ultimi tempi, ha raccontato Patrizia Armellin, la relazione con Vaj era costellata sempre più da litigi verbali e fisici che lei non aveva mai denunciato soltanto per paura di ritorsioni fisiche.
I problemi economici
Tra i moventi del delitto, non c’è soltanto la reazione ad un’aggressione violenta. C’è anche il movente economico. Non è un mistero che i protagonisti del delitto di via Cal dei Romani fossero tutti e tre disoccupati. Il mistero è semmai come riuscissero ad andare avanti. La madre di Patrizia ha raccontato che la figlia e Vaj, in passato, avevano tentato l’avventura economica aprendo in zona un ristorante “Ca’ dei matti”. Ma l’avventura imprenditoriale della coppia naufragò dopo pochi mesi con il Fisco che andava a caccia di loro attraverso le cartelle esattoriali. Insomma, una situazione al limite. «I protagonisti di questa triste storia - ha precisato il capitano Giuseppe Agresti, comandante della compagnia di Vittorio Veneto - non erano da noi conosciuti. Mai una denuncia ci era stato presentata prima».—
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