Loria: tentò di uccidere la moglie, esce dal carcere dopo 5 anni

LORIA. «Mi coglie alla sprovvista, non ne sapevo nulla e questo mi spaventa». L’uomo che ha tentato di ucciderla esce dal carcere cinque anni dopo. La voce di Matilde Ardia ha un attimo di esitazione. «Me lo state dicendo voi. Questo fatto è un po’ come un cazzotto allo stomaco».
Matilde era all’oscuro di tutto, nessuno l’ha avvisata che Andrea Loro, l’ex marito che il 17 gennaio 2013 cercò di ucciderla con un piano diabolico, ha appena beneficiato del suo primo permesso premio. Un provvedimento giunto a distanza di cinque anni e otto mesi dal giorno in cui l’uomo ha tentato di strangolarla e poi ha simulato un incidente dandole fuoco nell’auto. Qualche giorno fa Andrea ha trascorso una giornata fuori dal carcere, il suo primo sprazzo di libertà nel mezzo della condanna a tredici anni con rito abbreviato per il tentato omicidio della moglie. «Per me il problema non è tanto il permesso in sé quanto la sicurezza mia e dei miei figli. Non serbo vendetta ma spero ci sia qualcuno che verifichi se lui può nuocere ancora», spiega Matilde.
La domanda resta però sospesa nell’aria. Il magistrato di sorveglianza ha concesso all’uomo di trascorrere un giorno a Loria, il paese dove vivono i suoi familiari ma anche il luogo che è stato teatro della tragedia sfiorata. Era poco prima della mezzanotte e Matilde, che oggi ha 36 anni, stava rientrando a casa da una cena. Trova il basculante del garage aperto e pensa a una gentilezza del marito, ma dallo specchietto dell’auto lo vede appiattito contro il muro. Del dopo ricorda solo due mani con i guanti bianchi che le stringono forte il collo. Lei che prova a liberarsi dalla morsa ma non ci riesce e perde i sensi. Stordita si risveglia in auto, seduta lato passeggero. Quelle mani tornano a strangolarla.
«Muori, perché non muori?». Di nuovo il buio. L’auto finisce contro un palo e viene data alle fiamme. Doveva sembrare un incidente. Matilde si sveglia sentendo il calore del fuoco bruciarle la pelle. Con un gesto disperato riesce a gettarsi fuori dall’abitacolo. Qualcuno lancia l’allarme e lei viene trasportata d’urgenza al centro ustioni di Padova.
Mesi di convalescenza, ustioni di terzo grado sulle mani e sul fianco. La fatica enorme di lasciarsi alle spalle quel matrimonio, di continuare a vivere per i suoi figli. E adesso il passato torna a insinuarsi tra le pieghe del presente. «Non ho dubbi sulla sua buona condotta in carcere, lui è sempre stato una persona educata, ma lo faceva anche prima agli occhi della gente, anche se poi sotto covava un malessere profondo. Quello che mi preme sapere adesso è se in questo tempo sia stato aiutato, se stia facendo un percorso per ritrovare quell’equilibrio che io gli auguro. Anche se non voglio più vederlo». Non c’è rancore nelle sue parole, solo la voglia di essere serena.
«Lui è giovane e immaginavo che sarebbe uscito prima o poi con permessi e sconti di pena. Vorrei solo una rassicurazione, sapere che c’è qualcuno che si sta prendendo cura della situazione». Anche se oggi Matilde vive lontano dal Veneto, restano cicatrici indelebili. Il dolore diventa angoscia ogni volta che accade un nuovo femminicidio. La mente torna indietro, lei rivede se stessa nelle altre donne aggredite.
Alla fine si convince di aver ricevuto una grazia. Cerca di non fermarsi alla sua tragedia, vorrebbe andare avanti e sentirsi protetta dalle istituzioni. «Non voglio vivere nel terrore che qualcosa di brutto possa accadere ancora».
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