Le dighe e il sogno: navigare il Sile
Nel ’900 il fiume chiuso alle barche. Fondazione propose di riaprirlo

Lo scroscio d’acqua che accoglie i turisti che arrivano in città è artificiale, frutto si un salto d’acqua che nel 1917 (ma alcuni testi fanno risalire la prima opera addirittura al 1887) la società dell’energia realizzò dove lavorava un vecchio mulino.
San Martino
infatti un tempo non era il grande specchio d’acqua di oggi, il Sile correva ben più giù, quasi all’altezza del condotto che scorre alla destra del bacino e serve solo per scaricare l’acqua in accesso in caso di piene. Ad alzarne il livello proprio la centrale – forse la prima d’Italia – che da allora ad oggi ha disegnato uno degli scorci più apprezzato della città dando vita al contempo alla prima grande opera industriale lungo il fiume.
Le centrali di Ponte dea Goba e di Silea
arriveranno solo dopo più di trent’anni (rispettivamente 1951 e 1954), l’ultima grazie ad una imponente opera di scavo che deviò – a fatica – il corso del Sile lungo il canale artificiale che oggi va dai
Mandelli
alla chiusa di Silea. Ma bastò la centrale di S.Martino a segnare per sempre la storia del fiume un tempo navigabile, da allora chiuso a nord della città.
«Certo è ancora possibile raggiungere ponte dea Goba» spiegano dal Genio, «attraverso la conca di navigazione di Silea», ovvero il sistema di chiuse stile olandese che permette alle barche di scalare il salto del fiume, ma chi lo fa? Praticamente nessuno, anche perchè a monte della centrale di Silea il fondale è traditore, le secche tante e nascoste. Eppure c’è chi ci pensò, immaginando di ridare il lustro di città d’acque a Treviso.
L’idea venne a
Fondazione Cassamarca
negli anni della cassa fiorente e del primo De Poli. Il progetto venne disegnato e regalato all’amministrazione comunale non si è mai saputo se come sfida o proposta di collaborazione. Gli uffici, racconta chi c’era, lo presero in considerazione. Ma poi lasciarono perdere e l’idea è finita sepolta sotto carte e progetti nei cassetti del settore lavori pubblici. La ragione? Per riaprire il fiume alla navigazione si sarebbero dovuti eliminare i salti d’acqua, eliminare i saldi avrebbe causato l’abbassamento del libello del fiume e la fuoriuscita di tutti gli scarichi che oggi sono nascosti a pelo dell’acqua imponendo una «fasta e onerosa» opera di nuova regimazione idraulica. Troppo. Il Sile andava bene così. Rendeva l’energia, e rendeva anche l’allevamento di pesce che c’era ai
Bastioni
e che poi, nel Duemila, è stato definitivamente chiuso lascianod le vasche aperte e così anche la diga che le alimentava.
(f.d.w.)
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