La grande sete del Piave a Treviso, in cento contro gli scavi

MASERADA. La “grande sete” del Piave non accenna a placarsi, il letto è sempre più in secca, e un centinaio di persone lo ha notato con i propri occhi, ieri mattina, durante la passeggiata organizzata da Legambiente sulle risorgive tra Candelù e la Fontana Bianca.
Sul banco degli imputati finiscono, più di tutti, le escavazioni di ghiaia ancora in corso sull'alveo del fiume: la marcia di ieri ha chiesto a una sola voce che si interrompano immediatamente gli scavi in corso nei pressi di Susegana e Moriago della Battaglia. «Abbiamo cinto il fiume in un ideale abbraccio», spiega l’organizzatore Fausto Pozzebon, del circolo Piavenire Legambiente, «i prelievi di ghiaia hanno abbassato in modo preoccupante il letto del fiume. Guardate i pilastri del ponte di Susegana: tra le fondamenta e il letto del fiume ci sono quattro metri di dislivello perché la ghiaia è scivolata a valle. L’ingegner Luigi D’Alpaos lo diceva già nel 2009: basta escavazioni sul Piave, e invece il genio civile ha permesso 30 mila metri cubi di escavazione a Susegana. Noi oggi chiediamo lo stop immediato per almeno cinque anni».
Ieri i cittadini sono arrivati soprattutto da Cimadolmo, Ormelle, San Polo, ma si è visto anche qualcuno dal Quartier del Piave. Tanti anche i rappresentanti delle sezioni trevigiane di Italia Nostra, Legambiente, Auser, Open canoa-Open mind, Qui Piave Libera, Fulmine. Si sono dati appuntamento alle 9 alla chiesa di Candelù, poi hanno raggiunto la risorgiva attuale della Fontana Bianca dentro la golena del fiume, da lì, infine, verso una sorgente che oggi è in secca e il letto del fiume, dove scorre un timido rivolo d’acqua. Soffrono le risorgive e soffrono gli affluenti, dove è a rischio la sopravvivenza delle trote, pesce simbolo del Piave, che si riprodurrebbero in zona risorgive, se solo ci fosse acqua a sufficienza.
«Abbiamo davanti un fiume che muore», ha detto ai partecipanti ieri mattina Pozzebon, «il ramo di Cimadolmo è completamente asciutto da mesi. Non c’entra soltanto la siccità: l’acqua viene utilizzata, in inverno, per muovere le turbine di impianti idroelettrici anche di dimensioni minime e pagati dalle bollette di tutti i cittadini. Nell’Alto Piave la situazione è allucinante, qui si inizia a sentire. Un peccato non aver visto nessun amministratore comunale di maggioranza tra i partecipanti». E adesso, dopo la marcia? Chi c’era ha ricevuto un volantino di Legambiente in cui si invitano gli amministratori a muoversi per salvare il grande fiume della Marca. Tre pagine di proposte, idee, sollecitazioni. La prima è la convocazione di una conferenza dei servizi alla quale partecipino Regione, Comuni rivieraschi, associazioni dei cittadini. La seconda è lo stop immediato alle escavazioni. A seguire, il censimento dei fontanili e delle risorgive ancora presenti, politiche regionali più consone ai cambiamenti climatici in corso, minori sprechi d’acqua per le coltivazioni, controllo dei pozzi artesiani.
Il Piave in secca rischia di non danneggiare soltanto flora e fauna: «Non dimentichiamo che la mancanza di un paesaggio fluviale incide anche sul benessere delle persone», spiega Pozzebon, «qualcuno tutto questo sembra esserselo dimenticato».
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