Il disastro Butan Gas, un cratere abbandonato: 20 anni di dolore e memoria

Sterpaglie e cespugli crescono al posto del deposito, tramontano anche i progetti residenziali. Il 15 marzo del 1996, nello scoppio di un’autocisterna, morirono due persone e in 13 rimasero feriti
Una foto del giorno dell'esplosione: era il 15 marzo 1996
Una foto del giorno dell'esplosione: era il 15 marzo 1996

PAESE. L'insegna gialla con il marchio Butan Gas, pur sbiadita dal tempo, resiste ancora su ciascuna delle due colonne che racchiudono il cancello. Quasi non fossero trascorsi vent'anni da quel 15 marzo 1996, pochi minuti prima delle otto, quando l'impianto in via senatore Pellegrini a Paese si trasformò in una piccola Chernobyl di Marca. Due morti - Claudio Mardegan, 39 anni, addetto allo scarico della cisterna, finì carbonizzato, e Gottardo Parisotto, 40 anni, custode dello stabilimento, spirò dopo una settimana di agonia - e tredici feriti tra cui undici pompieri, con la consapevolezza che la tragedia avrebbe potuto avere proporzioni ben maggiori. Due decenni dopo, la ferita è ancora aperta. E non solo perché nemmeno il tempo può cancellare una delle pagine più drammatiche della cronaca trevigiana. Ma soprattutto perché in quest'angolo di Paese stretto tra la Castellana e la ferrovia, incastonato in una zona residenziale che esisteva già allora e oggi si è arricchita di nuove abbinate, tutto o quasi è rimasto come vent'anni fa.

«Noi, i pompieri del turno D»
Lo scheletro della "giostra" dove le autocisterne caricavano il gas

Dopo la tragedia, l'attività che si era insediata nel 1963 proseguì per un breve periodo, orail deposito più vicino Butan Gas è a Portogruaro. Raccontano i residenti che la cisterna incriminata è stata portata via solo un anno e mezzo fa, mentre l'eternit che copriva il capannone dove si trovava la "giostra" per caricare le bombole è stato smaltito nel tempo e oggi resta solo lo scheletro di cemento. Le tapparelle rosse della palazzina degli uffici, da dove partì la prima chiamata da parte di una delle segretarie che non aveva però inteso la gravità della situazione, sono abbassate. Là dove morì Mardegan, è nato spontaneamente un cespuglio che brilla di verde sotto il sole di primavera. Tutt'attorno, l'impianto è ostaggio della natura che lo sta avvolgendo. Vi lavoravano una quindicina di persone, tra operai e autisti. La coda dei camion pronti a entrare nell'impianto alla mattina, specie negli ultimi anni di attività, era tale da impedire ai residenti di uscire di casa con l'auto. Poi quella mattina, in cui tutto cambiò.

Martedì le celebrazioni in cimitero e municipio

Durante le operazioni di scarico di una cisterna, il gpl fuoriuscì e invase l'area. «Le persone non si vedevano dalla cinta in giù a causa del gas, sembrava nebbia» racconta un pensionato che vive a fianco dello stabilimento, testimone del dramma. Pochi istanti dopo l'arrivo dei primi due mezzi dei vigili del fuoco, la tremenda esplosione innescata dal motore di uno dei camion. Così violenta, ricorda l'anziano, «che i vigili del fuoco più vicini al punto restarono solo con gli slip e la mascherina addosso, mentre i loro caschi schizzarono quaranta metri in alto. I chiavistelli di porte e finestre in ferro della mia casa, a cento metri dall'esplosione, si piegarono come fossero di burro, le tapparelle ridotte a fisarmoniche». «E anche il tetto si alzò», dice indicando le lunghe crepe ancora visibili sul sottotetto.

Oggi l'area è ancora di proprietà della Butan Gas, di tanto in tanto vengono parcheggiati due camion usati per la consegna delle bombole in zona Paese. Da dieci anni si parla di un piano di riqualificazione che avrebbe dovuto cancellare l'impianto abbandonato per lasciare posto a sei edifici - 45 mila metri cubi tra case, uffici e negozi - attorno a una piazza centrale con un monumento a ricordo delle vittime. Il progetto, complice la crisi del mattone, non è mai decollato. 

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