Diabete nei bambini, nuovi casi a Treviso: la pandemia ha frenato le diagnosi

Il primario Martelossi ed il suo staff all’avanguardia nella prevenzione e cura della malattia: riconoscere nel più breve tempo i sintomi consente di ridurre i danni della malattia di tipo 1 che può portare alla morte

TREVISO. Il bisogno di bere senza riuscire a dissetarsi, il senso di stanchezza e la perdita di peso. Per comprendere che si tratta di diabete di tipo 1, patologia insidiosa che colpisce bambini e adolescenti, servono occhio clinico ed esperienza.

La Pediatria dell’ospedale di Treviso ne ha maturata un bel po’ e ora lancia l’allarme. «Nel 2020 abbiamo avuto 30 esordi di diabete di tipo 1 e i casi gravi che arrivano a noi con chetoacidosi (una pericolosa iperglicemia nel sangue) sono aumentati dal 30 al 50%» sottolinea il primario dell’Ulss 2 Stefano Martelossi «un fenomeno collegato in buona parte alla pandemia e quindi alla difficoltà di accesso alle cure che porta a tardare la diagnosi».

Il diabete di tipo 1 è una malattia autoimmune, l’alimentazione grassa e ricca di zuccheri non c’entra, questa patologia porta l’organismo a una distruzione delle cellule del pancreas che producono insulina. Le cause non sono ancora del tutto note, l’ipotesi più accreditata è che a scatenare questo meccanismo di autodistruzione dell’organismo possano essere degli agenti virali abbinati a una predisposizione genetica.

L’ALLARME

L’aumento dei casi trevigiani sta andando di pari passo con l’abbassamento dell’età di esordio della malattia. «Una volta erano rarissimi i bambini tra i 18 e i 24 mesi con diabete di tipo 1» prosegue il dottor Martelossi «ora, invece, stanno diventando molto più frequenti».

La Pediatria del Ca’ Foncello segue nelle terapie 150 piccoli pazienti con questa patologia ed è prima a livello Veneto per numero di diagnosi, tanto che ha varato un protocollo terapeutico personalizzato: firmato da Anna Corò, Marta Minute e Francesco Fabris, l’équipe trevigiana che si occupa di diabete pediatrico in sinergia con il Centro antidiabetico dell’adulto.

LE TERAPIE

Riconoscere nel più breve tempo i sintomi consente di ridurre i danni della malattia di tipo 1 che può portare alla morte. «L’anno scorso abbiamo fatto un corso di formazione per infermieri e medici e stilato un protocollo sulla chetoacidosi diabetica per tutte le Pediatrie dell’Ulss 2 affinché ci sia un approccio uniforme per trattare la chetoacidosi» aggiunge l’esperto. Il disturbo va individuato entro 3 ore dall’ingresso in ospedale del bambino.

«Va contrastato con la reidratazione il meccanismo per cui si ha la perdita di glucosio attraverso le urine» aggiunge Martelossi. Una volta stabilizzato il paziente occorre mettere a punto la terapia insulinica che lo accompagnerà per tutta la vita. «La tecnologia oggi offre ai bambini una serie di opportunità che facilitano la gestione del diabete attraverso dei sensori sotto-pelle che misurano la glicemia e somministrano in automatico il giusto quantitativo di insulina». Il “modello Treviso” in un libro firmato dal primario Martelossi insieme ai colleghi Agostino Paccagnella e Alessandra Mauri. —

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