Cornuda, cinesi in nero nel capannone trevigiano
Un laboratorio irregolare era incorporato nell’azienda dei fratelli Covolan

CORNUDA.
I cinesi erano dentro l’azienda, stavolta. Un laboratorio irregolare incorporato in quello “ufficiale” trevigiano, gestito dai fratelli Renzo e Orfeo Covolan. I due hanno affittato uno spazio a un’imprenditrice cinese, che dava lavoro a 14 suoi connazionali. Quattro di loro erano irregolari. Per tutti loro i turni di lavoro erano massacranti: anche sedici ore al giorno.
La squadra ormai è affiatata, e si muove come un orologio svizzero: questura, vigili del fuoco, direzione provinciale del lavoro, Inail e polizia locale, tutti coordinati. Sono entrati in azione a Cornuda, al numero civico 4 di via Bosco del Fagarè, nella tarda serata di martedì. Lì c’è la sede della «Green Star», maglificio condotto dai fratelli Renzo e Orfeo Covolan, fondato dal padre Flavio. Un’azienda tessile storica per Cornuda. Dentro, però, la sorpresa: un vero e proprio laboratorio cinese ricavato in un ampio spazio del capannone. Niente sub-commesse esterne, stavolta i cinesi erano embedded, incorporati: quattordici lavoratori, dei quali quattro completamente in nero. Nessuno di loro, però, clandestino. I turni: 16 ore al giorno, hanno raccontato i lavoratori alla polizia. Il laboratorio («Love Maglia»), gestito da un’imprenditrice cinese, Ye Nanping, paga un affitto di mille euro al mese all’azienda dei fratelli Covolan. In cambio, oltre gli spazi, la “simbiosi” produttiva: nei telai dei cinesi passano i capi a griffe «Julia Garnett» messi sul mercato dall’azienda di Cornuda. Per la titolare cinese sono scattate le sanzioni a causa della presenza dei quattro lavoratori irregolari, per il mancato rispetto delle norme di sicurezza e per l’evidente presenza di vere e proprie camere da letto (lo stabile non ha destinazione d’uso residenziale). Da valutare le responsabilità dei Covolan.
Argomenti:immigrazione
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