Carla Rocca perseguitata ricostruita la sua storia

Carla Rocca durante la seconda guerra mondiale fu una ragazzina perseguitata. Era di famiglia ebraica e le leggi razziali la costrinsero ad abbandonare in primis la scuola, il liceo classico Canova, e poi anche la città nella quale viveva: Treviso.
Molti hanno conosciuto la professoressa Rocca, per anni stimatissima insegnante di francese al liceo scientifico Da Vinci: ma pochissimi sono al corrente delle sue vicissitudini personali e delle dure esperienze alle quali la guerra e il fascismo l'avevano costretta.
La ricorrenza. A tre anni dalla morte, il 30 ottobre 2013, l’Istresco pubblica per il momento in digitale, sul sito internet – ma un volumetto vedrà presto le stampe – documenti in gran parte inediti dedicati alla sua figura curati da Francesca Meneghetti, con contributi di molti amici studiosi trevigiani, da Ernesto Brunetta a Domenico Luciani, passando per Luisa Bellina, Cinzia Mion, Anna Caterina Cabino e altri. Ed è come se finalmente il puzzle di una esistenza complessa, il ritratto di una figura originalissima e anticonformista, fosse finalmente completo.
«Tracciare un profilo biografico è un atto storiografico estremo», dice Francesca Meneghetti, curatrice della ricerca, «specie se si riferisce a persone che hanno lasciato da poco questo mondo. Carla aveva dato tanto di sé, alla sua maniera, alla collettività. Perché non ricordarla con due righe su Wikipedia? Poi la cosa è lievitata, sono arrivati documenti e il processo della ricostruzione è stato condiviso con gli amici dell’Istresco».
La ricerca. La puntigliosa ricerca su Carla Rocca – semplicemente “la Rocca” per tutti i suoi studenti negli anni a venire – realizzata con ricerche d’archivio unite ad interviste, ricostruisce tessera dopo tessera un ritratto a dir poco singolare. Le origini tra Ferrara e Torino, dove nacque nel 1927, da un papà, Lamberto Rocca, a sua volta figlio di madre cattolica e padre ebreo, e da mamma Giorgina Kohn di religione ebraica; il trasferimento a Treviso, l’avvio degli studi al Canova e la repentina espulsione nel ’43; la fuga nel '44 a Cismon del Grappa e la vita di stenti trascorsa da sfollata con un nuovo cognome, Roversi, insieme ai genitori – era figlia unica – che nel frattempo si erano uniti in matrimono con rito cattolico a Roma.
Prima della fuga la mamma Giorgina si era rifugiata per un periodo nel monastero della Visitazione. Furono proprio le suore di clausura a suggerirle di farsi battezzare per poi potersi sposare con il padre di Carla. «La vita che ho fatto io lì era come la vita degli sfollati nel senso che eravamo in case che non avevano riscaldamento», si legge nell’intervista che Carla Rocca rilasciò a Luisa Bellina, «in questo paesetto della val del Brenta, dove d’inverno c’era un’ora e mezzo di sole e mi ricordo che in camera da letto avevo la brocca d’acqua che la mattina era gelata. C’era il problema di lavarsi, ci si lavava una volta alla settimana, in cucina, si scaldavano pignattoni d’acqua, si metteva dentro una tinozza, ci si lavava bene tutti e tre».
I partigiani. Qui si verifica l’avvicinamento con i partigiani e con la Resistenza. Carla Rocca sarà tra i testimoni della racapricciante impiccagione di Bassano. Poi, con la fine della guerra, il durissimo rientro a casa (ritrovò occupata la sua abitazione in via Lazzaretti Vecchi) e a scuola dove si scontrò con una delle clamorose ingiustizie alle quali la storia l'avrebbe sottoposta insieme a molti altri: da ebrea espulsa dalle scuole del Regno, aveva perso due anni di liceo mentre le sue compagne e amiche avevano potuto proseguire negli studi. Carla non accetterà mai fino in fondo questo “scarto”.
L’insegnante. Gli studenti che l’hanno temuta in tanti anni di insegnamento severissimo, seppure di massima qualità, sappiano che non fu una studentessa modello: lo diventò poi all’Università quando, iscritta a Ca’ Foscari, si laureò in francese inaugurando un capitolo nuovo della sua vita. Quindi l’insegnamento prima al Duca degli Abruzzi poi al Da Vinci, chiamata dal preside Tessari, l’esperienza capitale in Africa, in Costa d’Avorio e in seguito in Somalia: gli anni trascorsi in quel mondo così radicalmente “altro” la segnerà a fondo, lei che non aveva mai avuto una origine culturalmente univoca (quanto era ebrea? Quanto cattolica?) e una sola casa.
Le maschere africane. Di nuovo il rientro a Treviso. La sua importante collezione di maschere e oggetti, messa insieme negli anni di permanenza in Africa, è di recente stata acquisita dal museo di Montebelluna. La sua impronta sugli studenti di francese del liceo scientifico – tra questi anche un giovane Marco Paolini – è profonda, indelebile. Forte anche il suo imnpegno culturale nell’Alliance Française.
La sua è una figura di rottura. La zazzera di capelli sale e pepe portati cortissimi, il vezzo di indossare sempre pantaloni calzando scarpe raso terra, al collo pendagli etnici. Il piglio autoritario unito allo sguardo profondo, però, di chi sapeva vedere oltre la superficie delle cose.
L’impegno. “La Rocca” si faceva vanto della propria laicità: ne farà un impegno civile con l’associazione La Ginestra negli anni della battaglia per ottenere una sala del commiato a Treviso. Suoi, per finire, alcuni volumetti di grammatica francese molto apprezzati dagli studenti, pubblicati, però, solo a pensionamento già avvenuto.
Il commiato. Carla Rocca è morta alla Casa dei Gelsi il 30 ottobre 2013, non molto distante da quella villa colonica che condivideva, in solitudine, con una schiera di gatti e dove parcheggiava la sua decapottabile sportiva di un verde chiarissimo che non passava certo inosservata.
Stava scrivendo un libro su Venanzio Fortunato che, suo cruccio, non è riuscita a portare a termine.
Le ceneri sono state disperse in mare, ma è bello immaginare che almeno una parte di lei abbia preso il volo per l’Africa, anche quella era casa, forse la più amata.
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