Versace al Panathlon «Voglio le Olimpiadi»

SPRESIANO. 22 agosto 2005, sulla Salerno-Reggio Calabria viaggia Giuseppina Versace, per tutti Giusy, figlia di Alfredo Versace, cugino dei noti fratelli. Giusy è bella una ragazza calabrese, mora,...

SPRESIANO. 22 agosto 2005, sulla Salerno-Reggio Calabria viaggia Giuseppina Versace, per tutti Giusy, figlia di Alfredo Versace, cugino dei noti fratelli. Giusy è bella una ragazza calabrese, mora, 28 anni lanciata nel mondo della moda, fa la retail supervisor: gira il mondo, prende aerei, noleggia auto, scende in grandi alberghi.Vita da sogno. Scoppia un temporale, la sua auto sbanda, si schianta contro il guardrail: gambe amputate da sotto il ginocchio. Potrebbe essere la fine, invece inizia un’altra vita: dopo un anno e mezzo torna a camminare, guidare e lavorare con delle protesi al carbonio, va a Lourdes, diventa presidente di Disabili No Limits; nel 2010 inizia a correre in pista, la prima in Italia: in tre mesi è in finale agli Assoluti nella T43, poi nove titoli italiani. Nel 2014 è ambasciatrice della campagna di promozione dell’integrità sportiva tra i giovani Save the dream che la porta in Qatar; vince a Ballando sotto le stelle. Il suo motto è “Con la testa e con il cuore si va ovunque”. Ed è anche il titolo del libro scritto nel 2013 e presentato l’altra sera alle Bandie nel gala in suo onore organizzato dal Panathlon di Treviso e presentato da Roberta Ferrari. «A Treviso c’ero già venuta ma questa è stata l’occasione per incontrare due persone splendide come Roberta ed il presidente Andrea Vidotti» sorride Giusy «che sono attive anche nel sociale».

Sei una donna forte e coraggiosa: cosa puoi dire a chi è nelle tue condizioni ma non ha la stessa forza d‘animo?

«Le situazioni estreme aiutano a tirar fuori risorse inaspettate: prima dell’incidente sarei stata la prima a dire non ce la farò mai. Il libro è stata una terapia, mentre lo scrivevo pensavo: ma davvero ho fatto tutte queste cose? Se hai amore per la vita la forza la trovi da chi ti sta vicino e da ciò che ti circonda. Ho molta fede, andare a Lourdes è stato fondamentale, mi ha aiutato a non arrabbiarmi con il destino: io guardo al bicchiere mezzo pieno, do valore alle tante cose che ancora posso fare. Insomma, sono un peperino curioso che ha bisogno di sfide: ho iniziato a correre per divertirmi, non per diventare un’atleta. Ma se ci scappano le Olimpiadi... E l’ho scoperto solo dopo che le gambe non le avevo più… E sì che avevano anche tentato di scoraggiarmi. La mia fortuna è aver incontrato Andrea Giannini, davvero un grande preparatore atletico (quello di Oscar Pistorius, ndr): quando mi ha conosciuto ero una papera che saltellava, adesso ballo tranquillamente con i tacchi...».

Il titolo del libro dice tutto: servono volontà e cervello.

«Ho pure litigato con la Mondadori, dicevano che il titolo era troppo lungo, alla fine l’hanno accettato. Se chi lo leggerà ne prenderà spunto sarò tanto felice: una volta a Lourdes un sacerdote mi disse: se fai una cosa bella e la tieni per te resta una cosa bella; se la condividi assume un grande valore. Ecco, ho voluto far conoscere la mia vita non solo ai disabili ma anche agli altri, la vita riserva difficoltà per tutti e bisogna imparare a rialzarsi. E comunque mica sono Wonder Woman, pure io ho le mie giornate, però ho capito che la vita è comunque un grande dono, che mi ha concesso una seconda opportunità».

Silvano Focarelli

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso