«Un Giro con il mito» Quell’ultimo Pantani raccontato da Ivan

Oggi il residence “Le rose” di Rimini non esiste più, anzi, sulle macerie di quello che ospitò il Pirata nell’ultima notte della sua vita, è stato edificato un hotel a 5 stelle che ne porta il nome. Sono passati otto anni da quella notte in cuiMarco Pantani fu trovato cadavere in una stanza che pareva un inferno di cocaina. Ancora qualcuno ci campa sopra, a colpi di associazioni e serate “dedicate”. Si fossero dedicati a Marco quand’era vivo...
Accanto a Pantani, in quell’ultimo anno da professionista (Marco aveva disputato la stagione 2003 morì il 14 marso successivo) c’era un ragazzo da un anno passato professionista dalla Zalf Fior. A Ivan Ravaioli, faentino che, dopo aver sposato la trevigiana Katia Zanette, abita a Castello Roganzuolo e lavora per la Veneta Nastri, quell’anno, il 2003 è rimasto stampato nella mente. «Marco s’era reso disponibile a disputare un’altra stagione e la Mercatone, la sua squadra, che pensava di aver concluso l’avventura tra i pro , corse ai ripari prendendo in blocco i 12 corridori della piccola Scanavino, tra i quali c’ero anch’io. Volendo cavalcare il nome di Pantani, andava bene anche così». Ivan non avrebbe dovuto disputare il Giro d’Italia, ma invece...
«Mi ritrovai a vincere due gare del Trittico Lombardo e così mi misero in squadra per il Giro, con Pantani. Per me fu un’emozione fortissima: Marco era un mito, l’unico ciclista a muovere la passione dei bambini come degli ottantenni. Fargli da gregario era per me un onore infinito».
Anche se della vicenda del Pantani dopato si sapeva già tutto.
«Se è per quello, sapevamo anche che i problemi di Marco erano altri. Eppure bastava il suo nome per far riempire l’albergo in cui alloggiavamo. Pantani per la gente era Il Ciclismo, con la maiuscola. Le pressioni cui era sottoposto erano tantissime. La sera si chiudeva in camera con la sua musica e non parlava con nessuno».
Eppure con voi aveva rapporti normali...
«Di giorno si correva. La sera a tavola era normale, con noi. Si chiacchierava, si commentava, ti guardava in faccia e diceva la sua. Certo, era tormentato, ma quelle serate a tavola le ricordo come... straordinariamente normali».
Nonostante l’enormità dei suoi problemi, terminò quattordicesimo quell’ultimo Giro della sua vita.
«E combattè fino all’ultimo, fu terzo sullo Zoncolan, provò a vincere sulla cascata del Toce. Lo stoppò Simoni, che poteva risparmiarsela... Dopo di lui, nel cuore degli italiani, il ciclismo ha fatto un passo indietro enorme».
Antonio Frigo
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