Saneyev, tre volte oro L’atletica piange la leggenda del triplo

Muore a 76 anni il georgiano campione e recordman 
Stefano Semeraro



Da quattro podi olimpici alla consegna delle pizze, dall’Urss a un angolo di mondo più libero, ma crudele. Viktor Saneyev, assieme a Jonathan Edwards il più grande triplista della storia, tre medaglie d’oro e una d’argento ai Giochi, è morto ieri a 76 anni, dopo una vita fatta di balzi nella storia e salti nel buio. Atleta enorme, uomo carismatico e cortese, la sua leggenda è intrecciata a una delle grandi gare del Novecento. Pensare a Messico 1968 significa rivedere il volo di Bob Beamon, i pugni guantati di nero di John Carlos e Tommie Smith alzati al cielo, ma nella finale del triplo accade l’impensabile. Quattro record mondiali battuti uno l’altro, cinque con il 17,10 che Giuseppe Gentile aveva piazzato il giorno prima in qualificazione. L’azzurro si migliora all’inizio della finale, atterrando a 17,22, Saneyev fa meglio di un centimetro solo per vedersi sorpassato dal brasiliano Nelson Prudencio, 17,27 al quinto salto. Rimane un un’ultima chance e Saneyev non la manca: un 17,39, “ventoso” al limite dell’omologazione (2 km/h), che fa la storia.

Nato nel 1945 a Sukhumi, in Georgia, in riva al Mar Nero, Viktor ha avuto un’infanzia difficile. Il dopoguerra vissuto fra gli stenti e sotto la cappa staliniana, il padre disabile che lo lascia orfano a 15 anni. A dargli un orizzonte meno cupo è l’incontro con l’atletica, prima nel salto in alto, sognando di imitare Valeriy Brumel, poi nel triplo. Il 1968 è l’anno del boom, ma la sua qualità più grande è la regolarità impressionante. Rivince l’oro nel ’72 a Monaco e nel ’76 a Montreal – uno dei pochissimi a firmare tre volte i Giochi – trionfa ai campionati europei nel 1969 e nel ’74, stacca tre record mondiali l’ultimo dei quali, 17,44, è ancora da podio. Nel 1980 ci riprova a Mosca, ma arriva “solo” secondo dietro l’altro sovietico Uudmae in una gara sfregiata dai “nulli” inesistenti chiamati a Campbell e De Oliveira. «Edwards ha segnato la specialità, ma Saneyev l’ha cambiata», spiega il suo amico e collega Bernard Lamitié. «Quando arrivava a una gara, tutti sapevano che avrebbe vinto lui». Dopo la pista c’è il lavoro da agronomo – a Sukhumi coltivava in giardino frutti tropicali, a Tiblisi si è laureato in agraria – e da allenatore. Ma quando l’Imperium sovietico implode, nel ’91, si ritrova senza niente. Emigra in Australia, perde il lavoro. Per mantenere la famiglia pensa di vendere le sue medaglie, consegna pizze a domicilio. Svanita la gloria, rivive la miseria della gioventù, prima di approdare all’Istituto dello Sport del New South Wales. La tranquillità, prima dell’ultimo stacco. —



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