Olimpico ’86, l’amarcord di Russo & C.

Davanti a 40 mila pareggiò 15-15 con l’Inghilterra: «Un match indimenticabile»

Italia-Inghilterra all’Olimpco? Il match di domani nel Sei Nazioni ha un precedente illustre: 1986, 26 anni fa. Correva il 10 maggio, quando lo stadio calcistico della capitale apriva la porte al rugby per una sfida straordinaria: la nazionale delle Rosa arrivava in versione titolare, ma non lo si poteva dire per i rigidissimi tabù dell’epoca. E’ rimasto test match solo per gli azzurri di allora, e mai premio fu più meritato, perché l’Italia di Bollesan e del trevigiano Franceschini firmò una delle sue pagine più memorabili: pareggiò 15-15, con una grande potenza dell’allora inavvicinabile Cinque Nazioni. C’erano Hill e Palmer, Hall e Bambridge. E con mille imprecazioni: in vantaggio 15-12, gli azzurri furono raggiunti a 3 minuti dalla fine, e l’ultimo assalto da touche sui 22 portò al drop in extremis di Bettarello: uscito d’un soffio

Quell’Italia faceva già battere il cuore, e otteneva risultati (e chi gioca oggi nell’Italia conosce poco il passato azzurro: male). Sugli spalti, allora, 40 mila. Paganti. In campo la squadra che poi giocherà il primo mondiale. Con i trevigiani Mario Pavin, Guido Rossi, Oscar Collodo, uno Stefano Bettarello non ancora benettoniano. E lui, Alvise Russo, allora 24enne, schierato numero 8 e autore di una partita straordinaria. Rimasta «perla rara» per gli infortuni che dopo il tour in Australia fecero perdere ad Alvise l’azzurro, lanciando peraltro l’indimenticato Lello Dolfato.

«Quando ho saputo che l’italia avrebbe giocato all’Olimpico, mi sono tornati i brividi di quella sera - ricorda oggi Russo, 51 anni, imprenditore nel settore delle forniture tessili, sin da giovane il più polisportivo e anglosassone dei rugbisti trevigiani (con tanto di basette inconfondibili) - Un match che non potrò mai dimenticare, sento ancora l’urlo dei 40 mila, la carica che ti arriva, lo spirito che ti prende quando vesti la maglia azzurra. Lo dico anche a chi in politica oggi vuole dividere il paese: come si fa? Il fatto di rappresentare tutto un paese ti dà motivazioni a mille. In ogni pausa del gioco, guardavo gli spalti, i compagni.... come un doping naturale. Chi aveva mai giocato davanti a 40 mila persone? Per noi era anche una rivincita sul dio calcio. Dopo 80 minuti avrei potuto giocare ancora, non ricordo la fatica. E il pareggio ci stava davvero stretto».

Un messaggio per gi azzurri che domani giocheranno? «Vorrei vivessero le stesse mie sensazioni, che giocassero con un ideale forte, con quella carica. Pensate, mi chiamarono il giorno prima, per me successe tutto nel giro di 48 ore. Mi rendo conto che il rugby è molto cambiato, oggi c’è il business, per noi sconosciuto. Ma alcuni principi dovrebbero restare».

Andrea Passerini

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