Nicola Sartorello, ovvero la solitudine del portiere

La solitudine dei numeri uno? Infinita e un po’ folle. Parafrasando Paolo Giordano, cominciamo così la nostra intervista con un portiere, anzi, con quello che era “il portiere”, premiato dai tifosi e dalla società, del Calcio Treviso quando ancora vinceva i campionati. Nicola Sartorello, ad appena 22 anni, sembrava destinato a chiudere con il calcio: la società biancoceleste, forse perché i gol lui li impediva parandoli, si era disfatta del “premiato” portiere e lui se n’era andato dal calcio. Adesso è la saracinesca del Quinto, ma per vivere lavora come impiegato. Senza rimpianti. Il Quinto, ultimissimo in classifica nella serie D, lo ha cercato. Adesso il Quinto è solo ultimo e guarda seriamente alla possibilità di non retrocedere. Anche grazie a lui. «Certo si salva chi i glo li fa, ma anche chi non li prende», scherza soddisfatto dopo la vittoria nel derby con il Montebelluna.
Torniamo al punto di partenza: parlaci della solitudine dei numeri uno.
«Una solitudine che si esplicita in modi diversi. Innanzitutto perché da lì in fondo si vede poco di quel che succede dall’altra parte, dove i tuoi compagni cercano di vincere. Poi perché, quando gli altri vengono avanti, la squadra è importante, la difesa è determinante ma, alla fine, tra i pali, resti solo tu. Devi farcela. Se il tuo compagno attaccante sbaglia un gol, si pensa che ne farà un altro subito dopo. Ma se tu lo becchi, non c’è esame di riparazione».
E poi i portieri sono un po’ matti per definizione.
«Le due cose sono legate. Quando alla fine devi inventarti qualcosa, un po’ di follia non guasta. Sì, un po’ matto mi sento anch’io».
Non abbastanza da pensare ancora di vivere di calcio. Comunque la tua è una bella rivincita.
«Lo è, certo. Ma è anche vero che soldi in giro non ce ne sono più, che vivere di calcio in D è improbabile. E poi sarebbe anche immorale pretendere tanti soldi quando c’è gente che non arriva alla fine del mese. E allora faccio l’impiegato e a giocare a calcio, ad allenarmi, mi diverto il doppio. Lo giuro. Era il mio mestiere, rimane la mia passione».
Divertito domenica?
«Ci mancherebbe. Abbiamo giocato bene. Altre volte lo avevamo fatto ma non avevamo avuto fortuna. Il risultato è forse troppo rotondo, ma giusto. E vi dico anche che il rigore su Fantinato c’era: l’ho visto io da lì in fondo... Non dobbiamo fermarci e non dobbiamo perdere tepo a gonfiare il petto. Ce la possiamo fare a salvarci, magari pure senza playout. Ne ho viste tante...».
Quando si fa una cosa importante, si pensa ai masetri. Chi sono.
«Il primo e determinante, Mason, l’ho avuto a Portogruaro ora è al Sacile. Ma in genere ho sempre avuto bravi maestri e allenatori dei portieri. Anche ora a Quinto. E ricordo con grande affetto e gratitudine anche quello che avevo a Treviso».
Buoni rapporti con i mister. E i presidenti?
«Quella è tutta un’altra storia». (a.f.)
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