Italo Cucci, la depressione ignorata: «E il calcio oramai è schiavo dei soldi»

Un monumento del giornalismo sportivo, Italo Cucci, a Treviso, invitato dal Panathlon, per parlare di calcio ma anche di depressione. Non sua, del figlio. Con casi estesi anche nello sport, vedi l’ult...

Un monumento del giornalismo sportivo, Italo Cucci, a Treviso, invitato dal Panathlon, per parlare di calcio ma anche di depressione. Non sua, del figlio. Con casi estesi anche nello sport, vedi l’ultimo, raccontato da John Kirwan. Cucci, 75 anni, pesarese di Sassocorvaro, ha presentato da Ibs il libro "Elettrochoc, sono ancora vivo. E la chiamano depressione", scritto con il figlio Ignazio, poi a sera la conviviale da Migò. Cucci, look da patriarca, squisito affabulatore, è stato tre volte direttore del Guerin Sportivo, idem del Corriere dello Sport-Stadio, Quotidiano Nazionale, Autosprint e Master; oggi direttore editoriale dell’agenzia Italpress e commentatore televisivo. Ha insegnato giornalismo alla Luiss di Roma e Sociologia della comunicazione sportiva a Scienze Politiche di Teramo. Il libro è nato dalla terribile esperienza del figlio Ignazio, 33 anni, sprofondato nel baratro di quello che una volta pudicamente veniva chiamato esaurimento nervoso. Un viaggio nella memoria, doloroso, faticoso, da cui però entrambi sono usciti migliori. «E' il libro che amo di più - dice Cucci - un viaggio nell'avventura della depressione, il male oscuro. Giorni fa sentivo Buffon che raccontava la sua esperienza, in sei mesi se n'è liberato. Ignazio mi ha detto: perchè per me ci sono voluti nove anni? Io aggiungo: perchè sulle magliette che indossano arbitri e calciatori non si fa mai propaganda per combattere questo male che fa vittime in tutto il mondo? In Italia nessuna autorità fa qualcosa per debellarlo. Ignazio è stato curato con l'elettrochock, è stata dura ma ne è uscito, ed anzi la terapia gli ha fatto riaffiorare ricordi d'infanzia ormai perduti. Ma in Italia non sempre finisce bene, i farmaci spesso non si trovano perchè costano troppo poco, e non è un paradosso, bisogna andare all'estero. Vedo tanta insensibilità. Siamo stati anche da Milingo, una cosa a dir poco avvilente, me ne pentirò per sempre; poi per fortuna un professore ci ha aiutati». Ora Ignazio gioca a calcio e fa il volontario bibliotecario a Pantelleria. Sull'argomento sportivo e la crisi dei suoi valori, specie nel calcio, Cucci ha un unico colpevole. «La colpa è dei troppi soldi. Tutto il calcio si basa sui quattrini, che ispirano anche la piaga del doping. E' un mondo nel quale disonestà e slealtà la fanno da padroni. Cosa si deve pensare quando si vedono genitori esercitare pressioni sui figli sperando che eccellano laddove loro hanno fallito? Sarebbe ora di tornare a gustare il calcio per ciò che è e non trattarlo sempre da business». (s.f.)

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