In Ghirada la rimpatriata delle vecchie glorie

Da Meneghin a Giomo, le nostalgie di 80 campioni del basket che fu
 Sembrava il raduno degli alpini. I «veci» ultrasettantenni e i «bocia» (beh, insomma...). Un'ottantina in tutto. La rimpatriata dei «Maturi Baskettari», vecchie glorie dagli anni '50 agli '80, è stato un successo. C'erano anziani e distinti signori, in molti casi ancora aitanti e prestanti, in qualche altro un po' curvati dall'età, ma pur sempre campioni che hanno fatto la storia della pallacanestro. In Ghirada, ieri, non hanno voluto mancare. Da Gianfranco Pieri, classe 1937, ad Alberto Tonut, classe 1962, passando per Gianni Giomo, Gigi Serafini, Toio Ferracini, Paolo Vittori, Gianni Corsolini, Ottorino Flaborea, Giorgio Cedolini, l'arbitro Aldo Albanesi, Toni Cappellari, fino ai più giovani come a Andrea Gracis, Paolo Vazzoler; e ancora Mario Bocchi e Dino Meneghin, in transito da Mestre con destinazione Vedelago e Caorle.  Che rimpatriata, non è facile vedere tanti campioni tutti insieme. Roberto Rigatti, 71 anni, componente di quel leggendario A.P. Treviso che giocò in A nel '62 al Coni; peccato mancasse Vito Toso, bomber assoluto di quel campionato. Rigatti, primo italiano a stoppare un americano (con prova fotografica): accadde il 28 marzo 1957 all'aeroporto di San Giuseppe, Avieri Usa di Aviano contro il 51º Stormo. «Dai campi parrocchiali alla Prima Serie, ci divertivamo, giocavamo per il piacere di farlo sacrificando lo studio. Sa, eravamo tutti universitari, oggi c'è il professionismo, una atleticità superiore, invece Ciano Bortoletto ci diceva "ciapa el baeon, va in campo e tira". Era sufficente».  C'è chi gioca ancora: Giorgio Cedolini, 71 anni e due bypass. «Vecio Basket, con i miei figli di 44 anni e 23 (un'altra figlia, Paola, milita a Spresiano ndr): visto che le gambe tengono io vado avanti. Sono stato alle rimpatriate della Duco e della Reyer, ma mai tanta gente come oggi, ho rivisto ex giocatori di Udine, Gorizia e Pordenone con cui facevo grandi battaglie».  C'era anche Adriano Zin, il primo capitano della Benetton, 1981: «Quando giocavo ero il più vecchio, ma mi sentivo un ragazzino, qui però c'è qualcuno che mi batte. Iniziative che fanno bene, una settimana fa abbiamo celebrato i 30 anni della promozione in A/1 della Liberti». Niente malinconia o, peggio, tristezza, per rivedersi pieni di anni e acciacchi. Alberto Merlati, pivot che porta sulle spalle gli infortuni di un'intera squadra: 5 fratture al naso, 6 alle dita, l'ulna spezzata, schiacciato il bacino, lussati gomito destro e mignolo del piede sinistro, lacerati i legamenti di ginocchio e caviglia, 50 punti totali di sutura in viso. Famoso per il gancio, smise nel '76: a 35 anni ancora tirava i liberi facendo partire la palla tra le gambe. Tecnica giudicata ridicola, dunque sparita. «Sono ingegnere, è una semplice legge fisica: se tiri dall'alto la palla sul ferro rimbalza di più, dal basso ha meno forza».  Andrea Gracis, 51 anni, procuratore, pareva un ragazzino. «Sono di una generazione diversa, mi ispiravo a Giorgio Giomo e Mario Bocchi. Ciò che manca oggi è il gruppo. Ineviùtabile, ai nostri tempi eravamo molti più italiani». (si. fo.)

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