«Il mio Toni forte, distratto e campione»

Nato 95 anni fa, fece tremare i più grandi del ciclismo. Morì allenando due ragazzini
FRIGO TREVISO A CASA DELLA MOGLIE DEL CICLISTA ANTONIO BEVILACQUA
FRIGO TREVISO A CASA DELLA MOGLIE DEL CICLISTA ANTONIO BEVILACQUA

«Stame distante, che senò qua saltiamo in aria tutti quanti». Sorride ancora, leggendo le cronache di Gianni Brera raccolte in un libro, la signora Adriana. A parlare era il suo Toni, burlone e serissimo, ruvido e romantico, con un francese perfetto «che incantava le donne». E sorprendentemente, curioso e colto. Un mito per lei, più giovane di 12 anni del "Labròn". A casa di Adriana si mangiava pane e pedale, era figlia del commendator Gino Fregonese, inventore e grande capo della già allora "corazzata" del ciclismo veneto, l'Unione Ciclisti Trevigiani.

Pane e ciclismo nella casa paterna, pane e ciclismo in quella di giovane sposa. Ancor oggi è testimone del tempo e di un ciclismo che fu. «Quello di oggi non m'interessa più. Mi invitano qua e là, ma poi non vado». Novantacinque anni - il 22 ottobre - sono passati dalla nascita del suo Toni. Quarantuno dalla sua morte. Lo conobbe alla Coppa delle Dolomiti nel 1950. Lo sposò che lui ne aveva 38 ed era già due volte campione del mondo su pista, mentre lei, Adriana, ne aveva 26 e tutti si chiedevano chi avesse messo insieme quell'alchimia: lei ragazza di buona famiglia e insegnante, lui atletico, strapotente, confusionario e inaspettatamente colto, tanto da essere chiamato "Il Maestro" dal nome di un racconto di Cechov che tanto amava.

Ma torniamo al punto di partenza: «Stame distante», disse Toni Bevilacqua a quello strano umanista sportivo che nel suo momento d'oro fumava troppe sigarette (prima di passare inutilmente alla pipa, alla tivù e alla letteratura) e che, con la "paglia" accesa, si aggirava per il parterre del mondiale di inseguimento del 51, poi vinto. Il sottinteso era chiaro: stammi distante che, con la bomba che ho in corpo, può succeder di saltare per aria. Scherzo e sinecura: una volta parlare delle "bombe" dei ciclisti, tra l'altro non vietate, non suscitava morbosità come oggi. Ben altri erano i problemi del mondo. Allora.... E Toni Bevilacqua giocava a carte scoperte, condividendo la sorte i colleghi di pedalate. Quanto a Brera, la signora ci fa leggere il lungo epitaffio scritto dal bardo della bici e del pallone e dice: «Brera scriveva di Coppi e Bartali, ma amava la forza di Toni. Esattamente come scriveva del Milan e dell'Inter, ma in fondo amava sempre il suo Genoa».

Come detto, avrebbe 95 anni, oggi, Toni Bevilacqua. Nato a Santa Maria di Sala, sposato e spostatosi a Treviso nella bella villa a San Pelaio (dove poi arrivò un collegio e oggi c'è una casa di riposo), girò ancora un po' per case varie (»Una volta tornammo dalle vacanze e lui... ci aveva traslocato aiutato dai suoi amici che seminarono roba qua e là»). Per tornare infine a "casa" nel Veneziano e trovare lì, in modo assurdo, la morte. Avvenne a Zelarino mentre generosamente insegnava a correre a un paio di ragazzini. Racconta Adriana: «Un caso: la bici di una mia ex allieva messa di traverso, uno dei due ragazzi scartò di colpo e...». La scivolata, uno spigolo di marciapiede, una penosa agonia.

La signora Adriana ha 82 anni insospettabili: per lei il tempo sembra essersi fermato, tutte le mattine va a fare la spesa ed è ancora vitalissima. Scartabella, a richiesta e con gentilezza, tra i ricordi. Ha ancora il "librone di Toni", più molto altro materiale (tra cui il libro dove Brera racconta la succitata storiella), dal quale qualche anno fa Claudio Gregori della GaSport ha tratto il libro "Labròn". «Labron l'aveva inventato, Ruggero Radice, giornalista allora famosissimo». Lo chiamavano così, per quel labbro inferiore "a coppo" sul mento. O meglio «A prua di nave«, come scrisse Orio Vergani.

Adriana, nella casa di via Ferretton dove abita con la sorella Maria Luisa, sorride divertita: «Tutto questo lo sapremmo solo in modo vago. Se non fosse stato per la direttrice delle Poste di Santa Maria di Sala, che negli anni aveva ordinato tutti i ritagli di giornale e le foto che ritraevano le imprese di Toni, non ci sarebbe nulla cui appigliarsi per scrivere qualcosa. Era un confusionario nato, Toni. Leggeva Erodoto, che lui chiamava Erodotos alla greca, ma non aveva in senso della storia per quanto lo riguardava. La sua grande passione era il cinema e quando riuscì ad aprire, con i soldi guadagnati, quello di Zelarino, fu un uomo felice».

Ha lasciato due figli. Il più grande, Franco, fa l'ingegnere. «Ha le gambe potenti del papà, ma non ha mai amato il ciclismo che gliel'ha portato via. Lucio, commercialista, invece in bici da corsa ci va eccome». E magari la Wilier, che nel 2011 ha sfornato una bici con il nome di suo padre (Adriana nemmeno lo sa), ben farebbe a fargli dono di un esemplare.

Continuiamo a scorrere il "libron de Labròn" e ne esce di tutto. A volte cose che oggi farebbero sorridere, come la canzone "Bevi qui, Bevi là" scritta per la vittoria al mondiale di inseguimento del 1951 e cantatagli da un coro alla festa che il paese gli aveva organizzato. Oppure i giornali francesi che cantano le sue lodi dopo la vittoria alla Parigi Roubaix nella quale aveva battuto Van Steenbergen e Bobet. «Toni aveva aiutato Bobet al Tour, abbiamo ritrovato le foto. E Luison venne a trovarci dopo la morte di Toni: purtroppo eravamo in vacanza e fu un viaggio a vuoto». Coppi e Bartali? «Andava più d’accordo con Fausto, perchè Gino era... tirato, non spartiva volentieri i premi in denaro. Alla fine di un Tour si combinò con un orologio vinto, i sodi andarono... in cavalleria, si... dimenticava. Con Fausto si accordavano sempre e un anno che Toni non era in forma, bastò una tirata alla morte di mio marito perchè Coppi lo andasse a riprendere e, mettendogli una mano sulla spalla, gli dicesse "Tranquillo, tutto come al solito". Ma anche Bartali amava Toni. “Aveva un cuore grande come la sua valigia“, mi disse. Si riferiva alla valigia grande e vuota con cui partì per correre in Argentina, e che riportò a casa piena di regali per tutti. Ho ancora la coppa che gli regalò Eva Peron...».

Generoso ma puntiglioso. Tullio Campagnolo, inventore dell'omonimo cambio, non gli aveva riconosciuto un ingaggio per andare a correre il gran premio di Vicenza a lui stesso intitolato. Così Toni fece montare sulla bici un cambio diverso dal Campagnolo e andò a vincere. »Vinse il GP Campagnolo con il Simplex, capito?». Il rammarico più grande, a tanti anni dalla morte? . «Vi sembrerà incredibile, ma non ci è rimasta neanche una sua bici». Generoso e disordinato. Il Maestro e Adriana...

Toni Frigo

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