Ecco Isaac Fotu: il maori di Treviso Basket tra tatuaggi, denti d’oro e Fortnite

TREVISO. Il nome completo sembra uno scioglilingua: Isaac Mana Mei Langi Finau Fotu. L’annuncio della sua firma è arrivato il 22 luglio, ma per abbracciare il suo gigante Maori i tifosi hanno dovuto aspettare il 17 settembre, complici anche gli impegni con i “Tall Blacks”, la nazionale neozelandese. E se non è stato amore a prima vista, c’è mancato davvero poco. Perché questo ragazzone di oltre due metri ha un’energia e una positività contagiosi.
Fotu, sulla carta di identità si legge che è nato a York, in Inghilterra, il 18 dicembre 1993. Cosa ci faceva una famiglia neozelandese nel cuore della terra di Albione?
«Mio padre, Manu, era un giocatore professionista di rugby, e aveva anche conseguito una laurea in medicina. Poi si era trasferito a York per conseguire un diploma di specializzazione in infermieristica per la salute mentale. La famiglia Fotu ha vissuto a York per quasi dieci anni, e io sono nato lì».
Com’era la vita nel Regno Unito?
«Non ho mai dato grandi pensieri ai miei genitori. Mentre a livello sportivo ho iniziato con il calcio, ero un portiere. Sono il primogenito di una famiglia numerosa e ho due fratelli e due sorelle: Gabriella, Daniel, Zinny e Jacob».
Che esempio ha dato?
«Li ho i contagiati parecchio con la pallacanestro: sono tutti giocatori. Gabriella e Zinny fanno parte della nazionale femminile, Daniel è al college di St. Mary’s negli Usa ed è stato anche mio compagno in nazionale e anche Jacob è stato contagiato. Direi che la palla a spicchi ha un ruolo importante nella nostra vita».
L’insegnamento più importante ricevuto Manu e Jenny, i suoi genitori?
«Lavorare sempre duro e di dare il 100% in quello che faccio».
Qual è stata la loro reazione quando ha deciso di tatuarsi il braccio sinistro?
«Il tatuaggio fa parte della nostra cultura ed è comunemente accettato. E poi era un modo per ricordarmi di loro e della mia terra. Il tatuaggio sul braccio sinistro, il primo che ho fatto, è quello al quale sono più legato. La mia famiglia è molto importante, sul polso sinistro c’è la scritta “Family” perché sono sempre con me. Non me ne farò tanti altri, niente collo o viso».
Come fa a restare in contatto con la famiglia?
«App di messaggistica: ci sentiamo tutti i giorni e per vederci cerchiamo di farlo quando la stagione sportiva è ferma. Non è facile perché quando in Europa è estate in Nuova Zelanda è inverno, ed è un peccato perché viviamo a cinque minuti dal mare, ma non riesco quasi mai a godercelo. Qui c’è la mia ragazza e il mese prossimo dovrebbe raggiungerci mio fratello Daniel per qualche giorno».
Anche quel dente d’oro fa parte della sua cultura?
«Quello? Beh, sì e no. Sì, nel senso che non era nei miei piani farmelo. Poi ho perso un dente in uno scontro di gioco e a quel punto mi son detto: perché no?».
Fuori dal campo sembra una persona tranquilla e rilassata: come ci riesce?
«In effetti quando sono sul parquet combatto, fa parte della mia personalità, ma sempre senza eccedere negli atteggiamenti, non fa parte del mio carattere. Fuori invece mi piace giocare alla Playstation e sono un appassionato di Fortnite, ci gioco anche con i miei compagni di squadra. E quando voglio staccare la spina ascolto hip-hop, reggae, musica neozelandese».
La scelta del numero di maglia è casuale?
«No, è legato ad un gioco di parole: in inglese il numero quattro è “four”, e il due è “two”, così Fo-tu è diventato four-two, ovvero il 42. Qui in Italia invece ho invertito i numeri, prendendo il 24».
Ma può indossare quel numero con la sua nazionale, i “Tall Blacks”.
«Adoro quei ragazzi, c’è un clima incredibile, sono come dei fratelli per me. Abbiamo anche una nostra versione della “haka”, la danza che è conosciuta nel mondo grazie ai rugbisti, con qualche “mossa” personalizzata. Abbiamo giocato un buon mondiale, eravamo degli outsider, ma ci siamo fatti valere. Per loro farei di tutto, anche rinunciare a una chiamata importante».
In effetti quest’estate è arrivata la chiamata dei Celtics, dove ora è stato inserito nel roster il suo compagno di Ulm, Javonte Green…
«È un giocatore pazzesco, sono contento che abbia avuto questa opportunità. Io ero stato invitato dai Celtics alla Summer League perché il mio coach aveva parlato bene di me, però c’era il mondiale con la mia nazionale. Come potevo lasciarli soli?».
Com’è andata a finire?
«Non mi hanno più richiamato. Il mondo è pieno di talenti che vogliono andare nell’Nba, se gli rispondi “no grazie”, passano al nome successivo della lista. Ma è una porta sempre aperta, ogni anno ci sono squadre che mi invitano per la Summer League».
Un sogno nel cassetto?
«Voglio vivere il mio sogno nel miglior modo possibile, giocare in posti stupendi al più alto livello. La Nba sarebbe forte, non lo nego, ma sono a Treviso. Qui il cibo è “amazing”, le persone calorose, e voglio solo dare loro il massimo».
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