Brakocevic, cuore di Marca «Ma ora sfiderò Conegliano»

A Conegliano ha vissuto la prima esperienza all’estero. A Conegliano ha conosciuto l’amore di Marcello. A Conegliano è tornata dopo aver dato alla luce Viktor. E ora, di Conegliano, sarà la nemica più tosta. Jována Brakočević-Canzian, 31 anni, è il nuovo opposto dell’Igor Novara, l’avversaria storica di Conegliano. L’abbiamo incontrata a Bibione, sotto l’ombrellone, mentre quel cespuglio di capelli biondi di Viktor, nato al Ca’ Foncello tre anni e mezzo fa, è impegnato con paletta e secchiello, il marito Marcello Canzian (l’ha portata a vivere a Fontane, anche se per lei gira il mondo) si diverte con il beach tennis e lei, invece, consuma “Tipi non comuni” di Tom Hanks. Un titolo che le calza a pennello.
Jovana, c’è tantissimo di Conegliano nella sua storia.
«Già. Io e Marcello ci siamo conosciuti nel 2007 alla Zoppas Arena. Giocavo con la Spes, lui è venuto a vedere una partita. Una sola, credo. È un appassionato di beach volley. Si occupa di exterior e interior design, c’è anche la sua firma nell’ampliamento del Bibione Palace. Mi ha seguita ovunque. Avevo 4 anni di contratto, ma dopo il terzo mi hanno lasciato andare. Alla guida della società c’era Lucchetta».
E, anzichè mettere radici, è finita dall’altra parte del mondo.
«In Cina, al Guangdong Hengda. Lì c’era Jenny Lang Ping, mi ha allenato lei. In carriera ho sempre cercato di seguire un percorso tecnico che mi facesse crescere, e lei era l’ideale. Avevo 22 anni. In più ho trovato anche Logan Tom, una giocatrice fantastica. La città era meravigliosa, è la terza per grandezza della Cina, a due ore da Hong Kong, clima ottimo. In più il presidente è uno dei più ricchi magnati della Cina; aveva creato un complesso strepitoso dove far vivere le atlete, con palazzi da 31 metri, due appartamenti per piano e ogni appartamento da 220 metri quadri. Però ho trovato un ambiente difficile, non mi piaceva ciò che vedevo per strada e il cibo lasciava a desiderare: quando andavamo in trasferta mi preparavo un panino... Ed eravamo osteggiate dalla Federazione perché eravamo una società privata».
Non voleva avvicinarsi a casa?
«Sono finita in Giappone, con la JT Marvelous di Nishinomiya. Mi sono trasferita perché volevo giocare con Takeshita, una delle palleggiatrici più forti di tutti i tempi. È alta solo 159 cm ma era un fenomeno, è stata l’mvp dei mondiale 2006. È un campionato complesso, si giocano due partite di fila sabato-domenica. E la sera ero distrutta, perché non mi gestivo. Ricordo un bel gruppo, e tanto tifo: ogni squadra ha un coro personalizzato. E ci sono tanti riti prima del match: lì ho imparato il dono della pazienza. Ci facevano girare in bicicletta, avevo il mio appartamento, molto minimal. E una traduttrice sempre con me, ero l’unica straniera».
Al Vakifbank poi ha vinto tutto. Com’era la Turchia?
«Al primo appartamento mi hanno comprato tutto nuovo: piatti, bicchieri, posate, tutto. L’anno dopo ho cambiato appartamento e nuovamente ho avuto tutto nuovo. Uno spreco. Però sul taraflex...».
Quasi troppo facile. Facciamo un passo indietro, quando la pallavolo era lontana.
«Sono nata a Zrenjanin, a 80 km da Belgrado. Ho due fratelli minori: Tomislav, che gioca a pallamano e ora è in Svizzera, e Nenad, che giocava a pallanuoto e ora fa il tatuatore, particolarmente richiesto con studi in Germania e in Serbia. Mi padre è Milivoje, detto “Micio”, allena la Pallamano Oderzo, e mi madre è Edita, giocava a basket».
Niente bambole, quindi?
«Né Barbie né bambole, ma palloni ovunque. Eppure avevo iniziato a far danza, ma ero così alta che al massimo ballavo col maestro. Ho provato anche il nuoto e il basket, finchè a 11 anni mia madre mi ha letteralmente caricato in auto, con la complicità di mio nonno, per portarmi a giocare a pallavolo. Contro la mia volontà».
Beh, le è andata bene.
«A 14 anni mi allenavo con Ognjenović a Belgrado. C’era anche la scuola ma scappavo per allenarmi, non perdo tempo in cose che non mi interessano. Anche se poi mi sono diplomata e mi sono pure iscritta all’Università, indirizzo design. Seguivo le lezioni on line, ma giocando era impossibile così ho smesso. Magari un giorno ci riprovo».
La cultura è importante?
«Di più. Cresco Viktor bilingue, serbo e italiano, capisce tutto. Certo, a volte confonde una parola per un’altra, ma lo fanno tutti i bambini di tre anni e mezzo. È bravissimo. Anche per lui vorrei finire la carriera “presto”, non arrivare a 40 anni».
Come la Piccinini.
«Attenzione, lei è una fuoriclasse, ha vinto tutto più volte, ma io vorrei il secondo figlio. Inoltre devo stare attenta agli infortuni».
Cioè?
«Menisco ginocchio destro e tendine popliteo del sinistro. Per il primo camminavo dopo 2 giorni, per il secondo sono stata ferma un po’ più a lungo, quasi 4 mesi. Mi sono infortunata a Bucarest e a Modena».
Prima, però, c’è stata Baku, con l’Azeryol.
«Non è stato bello, l’ho scelto per i motivi sbagliati e mi sono pentita. Chi pagava non capiva nulla di sport. E poi avevo bisogno di fermarmi un po’, di resettare tutto. E così è nato Viktor, lo volevo da tanto».
Dopo il mondiale di calcio è tornato in auge il tema del professionismo al femminile. Chi le ha pagato la maternità?
«Nessuno. Euro zero. Eppure ero in formissima dopo 4 mesi, 6 settimane dopo il parto ero sul taraflex. Siamo professioniste, anche se non è formalizzato dalla legge. Dedichiamo la vita a questo sport, poi se ci capita una malattia non c’è un ente che ci tuteli, ci servono assicurazioni private. La legge serve, noi donne dobbiamo tutelarci. A causa delle mancate tutele c’è chi gioca sempre e poi arriva a smettere, e i figli non arrivano più».
E in più ci sono Nation League, preolimpici, Europei, World Cup. Si gioca troppo?
«La Nazionale è devastante. Per attirare pubblico si gioca tanto ma credo sia una strategia da cambiare visti i tanti infortuni. Quando averemo 50-60 anni come risponderà il nostro corpo? Giocare sempre fa male».
Come si rimedia?
«I fisioterapisti cambiano la vita. E con l’esperienza impari a capire il tuo corpo, a capire come fare. Serve un grande staff medico e un coach che sappia gestirti. Io investirei molto sullo staff».
Anche per questo, dopo Modena, Bucarest e Lodz, ha scelto Novara?
«Era da un po’ che si era capito che Egonu se ne sarebbe andata. Cercavano un’attaccante del livello di Paola, ma è davvero difficile. Conosco Barbolini da una vita anche se non mi ha mai allenata. Sarà un altro step di crescita importante, è un fuoriclasse della panchina e io potrò anche stavolta imparare qualcosa di nuovo. Ho firmato un biennale».
E quando torna casa?
«A Fontane torno ogni tanto, abbiamo una casa anche in Serbia. 3-4 anni fa viaggiavamo spesso, ora Bibione è il nostro posto, ci ricarica e per Viktor è perfetto».
Un’esperienza che le manca?
«Volevo andare in Brasile, ma non è mai arrivata la proposta in grado di conquistarmi. Ma ho dimostrato di essere pronta a muovermi, si trovano asili, amici, babysitter. Ci si adatta».
Si segnerà il 16 novembre sul calendario: Supercoppa contro l’Imoco.
«Tengo molto a Conegliano e ai coneglianesi. Ho conosciuto Piero Garbellotto ai tempi della Spes, quando lui era uno degli sponsor, uscivamo insieme ed è diventato un mio grande amico, ci sentiamo spesso. Poi mi ha concesso la possibilità di vestire la maglia dell’Imoco. Ora saremo avversari. Beh, non vedo l’ora». —
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