Bortoletto, una vita da allenatore giramondo «Al Condor dopo Cina, Africa e Thailandia»

l’INTERVISTADal Condor al Condor, passando dalle due stagioni in Serie A con il Grande Treviso e con il Messina, per l’Africa e la Cina. È la storia di Gianni Bortoletto, l’allenatore trevigiano...

l’INTERVISTA

Dal Condor al Condor, passando dalle due stagioni in Serie A con il Grande Treviso e con il Messina, per l’Africa e la Cina. È la storia di Gianni Bortoletto, l’allenatore trevigiano classe 1956 che questa stagione allenerà il Condor in Prima categoria. Più che una nuova avventura, per lui questo è un ritorno alle origini. Bortoletto ha attraversato gran parte della storia della società che oggi sta allenando. Ha iniziato a giocarci quando aveva 13 anni, all’inizio di quella sua carriera che gli ha regalato molto più da allenatore che da giocatore. «È per questo che per me tornare al Condor è un onore, anche se qualcuno può dire che la mia sia un’esagerazione».

Bortoletto, com’è nata questa nuova esperienza?

«Mi ha contattato Mendicino. All’inizio pensavo mi volesse proporre una giovanile, poi è saltata fuori questa prima squadra. Avrei scelto il Condor o il Dosson, l’anno scorso ho rifiutato altre squadre. Essere qui mi fa un gran piacere. Questa società mi ricorda la gioventù: il campo era sull’attuale Terraglio, invece del campo ora c’è una rotatoria».

Una ricerca delle radici, insomma.

«Ho iniziato ad allenare nel ’77 a Silea, non ho più voglia di girare. Sono stato in Costa d’Avorio, Thailandia, Ghana e Cina. Quando si fa questo tipo di esperienze non è facile restare ad alti livelli: in Italia, nonostante gli anni in Serie A, non ho più un nome da spendere».

Quando le è arrivata la proposta cos’ha pensato?

«Per me è un vero onore essere qui, anche se qualcuno dirà che sto esagerando. Spesso le società più piccoline non hanno nemmeno il coraggio di chiedere, tanto che all’inizio pensavo mi volessero offrire una squadra giovanile. Solo in un secondo momento è saltata fuori l’opportunità di allenare la prima squadra».

Cosa porterà al piccolo Condor un mister che ha esperienza di Serie A?

«Per loro sarà un modo nuovo per conoscere il calcio, un nuovo modo di vedere qualche situazione particolare».

Lei torna nella Marca in un momento particolare per il calcio trevigiano. Il Montebelluna sarà la nostra unica squadra in D, e solo in seguito a un ripescaggio. Secondo lei, cosa manca?

«Non voglio dare giudizi, non conosco a dovere il nostro calcio. L’anno scorso ho visto quattro o cinque partite del Montebelluna. Li ho visti pareggiare in 10 contro il Campodarsego e vincere contro l’Arzignano. Avevano la squadra per vincere, era evidente, eppure qualche ambiente all’interno della società continuava a dire che l’obiettivo era la salvezza. Ripeto: nessun giudizio. Ma nella testa di ragazzi che lavorano tutti i giorni anche questi particolari li fanno andare in campo giocatori in modo diverso. Nel calcio bisogna osare».

E del Treviso che quest’anno è stato ripescato in Eccellenza?

«Io a Treviso ho allenato in tre occasioni. La prima nel 1982-83, nelle giovanili, poi la Primavera fra il 1989 e il 1991 e infine nel 2006 durante la breve gestione Cavasin. È la squadra del capoluogo, per riemergere serve avere personaggi con soldi e idee: il calcio non è più solo quello giocato. Dopo il nostro esonero non li ho più seguiti da vicino, ma mi pare evidente che qualcosa, da qualche parte, è stato sbagliato».

Può servire ai biancocelesti questa Eccellenza?

«Promozione o Eccellenza non cambia nulla, qualcosa potrebbe farlo una Serie D. Treviso non è come Padova o Vicenza, dove quando va male allo stadio ci sono 10 mila persone. Noi in Serie A riempivamo il Tenni una volta ogni tanto. E non può bastare neanche una persona che aveva dalla sua tantissima passione com’è stato in passato Mansi. Ora serve un mecenate, una persona che faccia per il calcio di Treviso quello che i Benetton hanno fatto per il rugby. Serve una persona che segua l’esempio dato dal Chievo di Campedelli». —

Niccolò Budoia

BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso