Bici: tra guerra, pompieri e campioni

TREVISO. Ancora per una settimana, basta fare un po’ di gradini, quelli che conducono a Palazzo dei Trecento a Treviso, per immergersi nella storia della bicicletta, con particolare riferimento al suo impiego civile e militare nel secolo scorso. Una mostra che nasce dalla tenacia dell’architetto Gaetano Mazzeo, che ha raggruppato collezioni diverse, tra le quali quella della centenaria Uct.
“Treviso, la bicicletta e la Grande Guerra” è un titolo che, nell’inflazione del Centenario, respinge per noia. Invece, fino al 7 giugno, val la pena di fare quei quattro gradini per entrare in un paese delle favole che ha come fil-rouge un “nastro” di catena ciclistica che ne percorre ogni settore .
Appena dietro l’angolo c’è ad esempio la “bici della maestrina” dei primi del ’900: telaio breve come la statura dell’insegnante, borsa con i registri al manubrio, sella che pare rubata a Lilliput. Ma c’è anche la riproduzione fedele della bici di Enrico Toti, con tanto di stampella e pedale con “gabbietta” per imbragare l’unico piede disponibile.
Che dire poi della ciclomitragliatrice poco lontana (in mezzo c’è la “pieghevole” dei bersaglieri, con ruote naturalmente piene - in guerra non ci si possono permettere forature)? Il mitra è fissato tra la sella e il manubrio: alzando la seduta, l’arma si può appoggiare alla canna della bici, con un bel di treppiede d’appoggio da tenere fermo con lo scarpone.
Bellissimo anche il “ciclo-armato” dei carabinieri con tanto di tasche portafucili attaccate al palo.
Ed è poi poesia pura l’angolo dedicato al bici-pompiere. Tutto rosso con dorature, naturalmente: la divisa, la bicicletta con agganciati i manicotti e gli ugelli dai quali far fuoriuscire l’acqua. Poco più in là, la grande vasca dell’acqua con pompa da portare a mo’ di zaino in spalla. Sul manubrio, giusto per complicare ulteriormente il povero vigile del fuoco, anche la nanovella con la quale far “urlare” la sirena.
Dopo aver scorso manifesti e volantini, ritratti e riproduzioni pubblicitarie d’epoca, si arriva nello spazio “civile”, ovvero quello che ospita le bici dei “mestieri”. C’è quella ... casearia del burraio, con i due recipienti del latte agganciati al portapacchi posteriore e, davanti, il rullo per “sbattere” la panna e farla diventare burro. Ma c’è anche la bellissima compagna meccanica del “moeta-ciclista”, l’arrotino che nel portapacchi aveva tutti gli attrezzi e sul manubrio sosteneva invece la mola, da far girare pedalando “da fermo”. Un gioiello di meccanica e di bellezza paragonabile ad altre antiche “correntine” (così si chiamavano anticamente a Treviso) con i cerchi in legno oppure con il fanale al carburo per illuminare la notte e la nebbia sotto la mezza tabarrina invernale (il tabarro intero no, sarebbe finito tra i raggi).
Un po’ di quadri che hanno come soggetto la bici e la guerra fanno da introduzione a un angolo magico, con le antiche bici da corsa e da pista (c’è anche un’Aquila usata da Gino Bartali dilettante e con la quale faceva anche il corriere di documenti utili a salvare tanti bambini ebrei), le coppe più antiche e alcune foto a dir poco magiche.
Negli ultimi giorni, dopo il passaggio del Giro per Treviso, sono assurti al Salone dei Trevento anche tutti gli elementi che in loggia avevano costituito la mostra fotografica dedicata a Giovanni Pinarello, storica maglia nera e grande costruttore di biciclette. A guardar bene qualcuno vi troverà la bici dell’inglese Wiggins con uno straordinario e rivoluzionario plateau anteriore ovoidale. Buon divertimento.
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