Andreetta: Simone come papà Tranquillo

Il trionfo alla Bassano-Monte Grappa e la convocazione in azzurro per il Tour de l'Avenir. Ma anche il rapporto con il padre ex professionista, l'ammirazione per la maglia rosa Nibali e l'hobby della caccia. Simone Andreetta, diamante grezzo della Zalf, a tutto tondo. E se un giorno San Vendemiano, sportivamente parlando, non sarà ricordata solo per Alex Del Piero, bisognerà ringraziare l'ultimo virgulto forgiato da Luciano Rui. Al secondo anno da dilettante, l'affermazione in una classica dal nobile albo d'oro e la partecipazione al Tour baby, vinto in passato da campioni come Gimondi o Indurain, capaci di sbancare poi la Boucle dei grandi, sono già un pregevole biglietto da visita. Simone taglierà il traguardo dei 20 anni il 30 agosto, giorno della sesta tappa del Tour de l'Avenir, arrivo che ha cerchiato in rosso, perché adatto alle sue caratteristiche e già testato di recente. «Oltre che aiutare Formolo, nostro uomo classifica, l'obiettivo in Francia è provare a vincere una tappa, nella speranza di ottenere la convocazione per il mondiale di Firenze, dopo l'esperienza da junior a Copenaghen», auspica Andreetta, che si allena spesso con Modolo e Da Dalto, «Potrebbe fare al caso mio proprio la tappa di Châtel, un segmento interessante: il finale dovrebbe essere lo stesso del Valle d'Aosta, frazione vinta da Toniatti, mio compagno alla Zalf». Il Tour de l'Avenir, in programma dal 24 al 31 agosto, scatterà con il breve prologo di Louhans e terminerà a Plateau des Glières. Fra i sei azzurri, c'è pure Liam Bertazzo (Trevigiani). La passione per la due ruote è questione di cromosomi: papà Tranquillo, pro' negli Anni Settanta, corse un anno in squadra con Francesco Moser e in maglia Selle Italia centrò una vittoria a Col San Martino; il fratello Davide, coetaneo di Modolo, si fermò invece da junior. «Non è stato comunque mio padre a spingere o insistere», racconta, «Il ciclismo è affare di famiglia, ma serve anche la voglia. Non mi ha mai obbligato, non si è mai intromesso: l'avventura è proseguita, perché io per primo ci ho creduto. E nemmeno lo fece, quando diventò mio tecnico alla Sanfiorese, categoria Esordienti. Quella fu la mia prima società: iniziai a otto anni, da G2». Ma c'è sempre un giorno in cui ci si rende conto che il ciclismo in prospettiva potrebbe trasformarsi in un lavoro: «Per me coincise con la vittoria da junior al Trittico Veneto (con la Cieffe Vittorio, ndr). Capii che avrei potuto dire qualcosa». Il successo principe della carriera, prima del recente exploit sul Grappa. «Ma quest'anno mi sono imposto anche a Longa di Schiavon, chiudendo secondo al Piva e quinto a Poggiana. Quando contava, sono sempre arrivato davanti. La Bassano-Monte Grappa è un pezzo di storia del ciclismo, l'avevo messa nel mirino dopo il Valle d'Aosta. Se avessi fatto bene, sapevo che avrei potuto regalarmi il Tour de l'Avenir». Le caratteristiche di Andreetta? «Sono un passista scalatore, quando la strada sale fanno fatica a staccarmi. Possiedo pure uno spunto veloce, che sfrutto nelle volate di gruppetto. Mi difendo a cronometro, il prologo in Francia sarà un buon test». L'idolo? «Più che altro un modello, un esempio per tutti. Mi riferisco a Vincenzo Nibali, per ciò che rappresenta e ha fatto per rilanciare il movimento». Svaghi particolari? «La caccia con mio zio. Si riprende a inizio settembre: fagiani, lepri e beccacce».
Mattia Toffoletto
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