Addio ad Alberti giocatore e diesse Treviso lo piange

TREVISO. Al Barone non è stata risparmiata l’ultima lunga sofferenza: sette mesi in balia del male, con una breve interruzione in cui si erano accese, dopo un’operazione, le speranze. E mentre il tumore al colon lo portava a lasciare il mondo, alla non veneranda età di 73 anni, una sola cosa lo consolava delle sofferenze: parlare di calcio, la sua vita, con il figlio maggiore, Alessandro, procuratore internazionale di giocatori e allenatori sulle orme di papà. Bergamo, Milano, Chieti, Treviso (dov’erano nati i due figli), Venezia, Padova, Pescara, Bari sono le città che piangono l’elegante Enrico Alberti, un pezzo di storia del pallone italiano. Prima giocato, poi organizzato. Sia come giocatore (centrocampista e libero dai piedi buoni partito dalle giovanili del Milan quando ad allenare era un altro barone, Liedholm), sia come direttore sportivo, carica con la quale chiuse la sua carriera a Bari, dove aveva lavorato per quindici anni accanto ai fratelli Matarrese, Alberti si era distinto per carattere, tratto umano, eleganza implicita, tanto da meritarsi la “qualifica popolare” di Barone. Di lui si può ben dire che mai sbagliò una camicia e una cravatta.
Con le scarpe bullonate aveva collezionato più di 370 presenze, dalla D alla B; la sua prima esperienza, dopo le giovanili col Milan, fu con il Chieti di Tom Rosati. Giocava mediano, saltò solo due partite, quella squadra arrivò a un passo dalla serie B. La B l’avrebbe conquistata due anni dopo a Salerno, di nuovo con Tom Rosati in panchina e con Pierino Prati arrivato in prestito dal Milan, che con la squadra granata si scoprì subito bomber. Un’impresa fantastica per il giovane mediano. E a Salerno conobbe l’amore della sua vita, Drusiana, che presto avrebbe sposato. I due figli, Alessandro e Mario sono nati a Treviso, tappa importante dell’Alberti calciatore. Lì giocò altri sei anni, tra i suoi allenatori Gigi Radice («Arrivò con altri due milanisti, Cei e Valdinoci - racconta Vittorio Zanini, che con loro vinse lo scudetto juniores- Un signore senza pari») che avrebbe poi vinto lo scudetto col Torino di Pulici e Graziani.
Era il Treviso di Frandoli, Zambianchi, Cavasin Schugur) e proprio a Treviso, ai tempi della presidenza di Alfonso Mansi, fece le sue prime esperienze come direttore sportivo. Di tanto in tanto gli arrivava la telefonata di Tom Rosati, che già lo voleva portare a Pescara a metà degli anni’70, restò invece a Treviso per sei stagioni, prima di dire sì alla Salernitana di Soglia e al Venezia di Zamparini. Esperienze durate un nonnulla, che si chiusero nel giro di un paio di mesi, Nell’annata 82-83 fu diesse del Padova di Ivo Antonino Pilotto (il mister era Giorgi e i due erano un raro esempio di eleganza e savoir faire) ma nell’84 Rosati ci riprovò, e questa volta gli disse sì. Arriva a Pescara, ma all’inizio dell’estate Tom se ne andò per far posto a Catuzzi che la squadra la stava facendo seguendo soprattutto i consigli di Regalia, ds con lui al Bari. A Bari l’ultima annata di lavoro di Enrico. Poi il ritorno a Pescara, diventata la sua seconda città: funerali domani alle 14.30 a Pescara, nella chiesa Cristo Re.
Toni Frigo
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