Racconti di guerra e d’amore le vostre lettere dalla naja

Non solo foto, l’iniziativa della “tribuna” si allarga ai testi e alle cartoline inviati alla famiglia o alla fidanzata. Mandateci le testimonianze scritte

Oreste, che alla sua amata Filomena chiedeva solo un paio di calzini di lana. Ancora non sapeva quando sarebbe tornato, ma non vedeva l’ora di abbracciare sua moglie e sua figlia, di indossare delle calze calde.

Poi Bruno, prigioniero dei greci, che dal fronte, pur ferito, aveva il coraggio di far forza alla sua Armida: «Appena la guerra sarà finita, tornerò a casa». Sono le lettere degli Alpini. Scampoli di vita dal fronte, di servizio militare, di prigionia durante le due guerre, pezzi di carta ingiallita sbucati da vecchi scatoloni che dormivano in soffitta da decenni, oppure cimeli custoditi come il più prezioso dei gioielli.

Ricordi di naja alpina, in arrivo un libro con il nostro giornale

Insieme alle vostre foto di naja alpina iniziano ad arrivare le lettere: un modo per raccontare quei momenti non più solo attraverso le immagini. Vi chiediamo di mandarci quei documenti (ad alpini@tribunatreviso.it) per ricostruire un quadro nitido e vivo: li metteremo uno di fianco all’altro per raccontare le vostre storie. La prima lettera arrivata in redazione è di Bruno. Porta la data del 7 novembre 1940.

«Carissimo papà, in seguito ai combattimenti sono stato fatto prigioniero dai greci». Bruno scrive nell’attesa di essere mandato in un campo di concentramento, è una notizia che lascia scivolare tra le righe, come se non lo spaventasse. Manca l’Italia, manca la casa, manca la famiglia: «Speriamo che il Signore ci aiuti e ci faccia ritornare presto a vedere la nostra bella Italia». Il racconto poi si fa più concitato: «Ho visto cadere tanti compagni, ma io non ho avuto neanche una ferita». Poi un abbraccio alla moglie, «la mia Armida», cui non può scrivere una lettera perché dalla prigionia gli permettono di scriverne una sola. Dalla cella il pensiero va al suo papà: «Perdona il dolore che ti arreco», poi un «ricordami a tutti», che cela la paura di essere dimenticato. Questa è una lettera completa, ma ci sono anche i messaggi interrotti, una sorta di diario di guerra che riporta al 1917, a una «ferita di una pallottola di fucile alla gamba sinistra», di tutte le peripezie passate per essere curato.

Una cartolina postale inviata alla signora Filomena De Lenart rimanda invece al 23 agosto 1915 ed è scritta da Oreste, soldato del 56esimo reggimento sesta compagnia. «Stimatissima moglie», scrive, «con moltissima consolazione ho ricevuto la tua cartolina, so che godete di buona salute tu unitamente a nostra figlia». Poi scrive che presto andrà a trovarle. Da papà, da marito, scrive, in un crescendo di emozioni, che arriverà più presto che può, «perché non vedo l’ora di venire a trovarvi e baciarvi». Non chiede nulla, se non un paio di calzini di lana. In cambio promette, se ce la farà, a portar qualcosa anche lui. Eccoli, gli scritti dei nonni, dei bisnonni: raccontano storie difficili, di sofferenza, ma anche di speranza. A voi l’opportunità di far rivivere quei ricordi.

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