Quarto potere, un enigma nel mito di Orson Welles

Appuntamento ogni lunedì alle 20.15 con l’introduzione di Nicola De Cilia Ingresso gratis fino a esaurimento dei posti prenotati su www.tribunatreviso.it
CITIZEN KANE, Orson Welles, 1941, astride stacks of newspaper
CITIZEN KANE, Orson Welles, 1941, astride stacks of newspaper

Si comincia con un capolavoro di Orson Welles. La prima proiezione lunedì 16 aprile: sullo schermo Quarto potere (Citizen Kane) del 1941; a seguire Prima pagina (Front page) di Billy Wilder (1974) il 23 aprile, Professione Reporter (The passenger) di Michelangelo Antonioni (1975) il 30 aprile e Cronisti d’assalto (The paper) di Ron Howard il 7 maggio. Ma sarà solo l’inizio. Tutti gli appuntamenti il lunedì alle 20.15 al cinema Edera di piazza Martiri di Belfiore a S. Maria del Rovere, con l’introduzione dello scrittore Nicola De Cilia.

Quarto potere. Il primo e il più importante film realizzato da Orson Welles, atterrato a Hollywood dopo il radiodramma sulla “Guerra dei mondi” che inscenava lo sbarco alieno e i successi teatrali a New York. La biografia appena velata dell’editore Hearst qui chiamato Charles Foster Kane, intepretato da Welles e sviluppata per coro di racconti di chi l’aveva conosciuto bene. Partendo dal letto di morte di Kane e dalla sua ultima parola “Rosabella” (Rosebud) diventata l’enigma da sciogliere per un giornalista incaricato di capirne il significato e di confezionare un cinegiornale sulla sua vita. Troverà cinque voci per cinque flashback incollati assieme dai finti “cinegiornali”. Un bianco e nero che pare inciso col bulino. Un giallo senza soluzione per il cronista ma svelata nel finale al pubblico; un gioco di rimandi fisici e psicologici alla realtà come il castello di Kane quasi una copia di quello ancora esistente di Randolph Hearst a San Simeon. Nove candidature ma un solo Oscar per la sceneggiatura, dovuto alla guerra che Hearst stesso oppose all’opera di Welles. Che poi fece sempre fatica ad essere “padrone” dei propri film se non espatriando.

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Prima pagina. Strana la scelta di Billy Wilder un inventore di prototipi, tanto di commedie perfette quanto iniziatore di generi come il noir (La fiamma del peccato), nel cimentarsi in un remake di un film due volte di successo: nel 1931 firmato da Milestone e soprattutto nel 1940 con Cary Grant ne “La donna del venerdì” in cui il giornalista protagonista è donna. E strano perché il mondo del giornalismo l’aveva già sondato in modo drammatico nel 1951 con “L’asso nella manica”, quasi una profezia sulle storture della spettacolarizzazione delle tragedie quando un giornalista (Kirk Douglas) sfrutta la vicenda di un uomo intrappolato da una frana nel cuore di una montagna. Eppure in “Front page”, esce l’originalità di Wilder sorretto dalla rodata coppia di complici Walter Matthau (nel ruolo del direttore Walter Burns) e Jack Lemmon (Hildy Johnson) cuore comico del film.

Professione reporter. Una fotografia dal gusto pittorico, una Spagna dai toni bianchi e aspri dell’Andalusia, un panorama del 1975 non devastato dal turismo, in Professione reporter le scelte stilistiche di Antonioni si esaltano; i silenzi si espandono ma Jack Nicholson riempie la scena. Il reporter annoiato che interpreta sceglie di cambiare vita sostituendosi a un uomo morto che gli somiglia. Magico il piano sequenza finale di 6 minuti con la cinepresa che passa attraverso la grata di una finestra per mostrare l’arrivo della polizia e l’epilogo finale. Con un gioco di carrucole, una grata segata e 11 giorni di lavorazione. Arte e artigianato abbracciati in un epoca priva di computer.

Cronisti d’assalto. Cast stellare (Michael Keaton, Robert Duvall, Glenn Close) per l’esperimento di Ron Howard di raccontare il giornalismo attraverso 24 ore di una giornata di routine lavorativa e famigliare, in cui ogni momento può spezzare l’inerzia e far diventare speciale quel giorno. Scoprendo poi che lo speciale è anche nella routine del giornale.

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