Oggetti e scarti nell’arte contemporanea: a Treviso apre Re-use

A Santa Caterina, Casa Robegan e Ca’ dei Ricchi con 87 opere di 58 artisti internazionali, da oggi al 10 febbraio
BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO SALA IPOGEA MOSTRA A S. CATERINA, -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA
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TREVISO. Imperniando una ruota di bicicletta nel sedile di uno sgabello, Marcel Duchamp nel 1913 mette per la prima volta un oggetto d’uso comune al centro dell’opera d’arte. Il Ready-made cambierà radicalmente la concezione dell’arte, aprendo la strada alle correnti contemporanee che agiscono sulla materia e nella materia, attribuendole senso operandouna semplice, rivoluzionaria, decontestualizzazione.

BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA ESTERNO MUSEO BAILO
BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA ESTERNO MUSEO BAILO

Ma anche facendo sì che il mondo stesso – la natura, per esempio – diventi opera d’arte purché siano gli sguardi dell’artefice e dello spettatore a conferirgli nuovo significato. Fino alla riflessione, soprattutto nel secondo dopoguerra, sugli esiti del processo industriale che pone al centro della nostra vita la produzione e il consumo di merci, in un lavoro creativo che accoglie il messaggio ecologista ed anticonsumista.

BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO SALA IPOGEA MOSTRA A S. CATERINA, -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA
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Apre a Treviso “Re-use. Scarti, oggetti, ecologia nell’arte contemporanea”. Una grande mostra aperta fino al 10 febbraio 2018, curata da Valerio Dehò e progettata da Tra (Treviso Ricerca Arte) in collaborazione con i Musei Civici, che attraversa la storia dell’arte del Novecento fino ai giorni nostri con le opere di grandi maestri, da Duchamp a Man Ray, Burri, Manzoni e molti altri. Fino ai cavi aggrovigliati di Phinthong (Ca’ dei Ricchi) e ai sacchetti fluttuanti nell’acqua (La Spada a Casa Robegan).

L’esposizione è composta da 87 opere provenienti da collezioni private (due sono trevigiane) di 58 artisti che hanno portato nei loro lavori il concetto del residuale, così come del riutilizzo dello scarto. Tema caro alle associazioni di categoria che hanno supportato economicamente il progetto. Fanno capolino all’ingresso dei musei imponenti opere di Cracking art che stanno facendo discutere: come le due irriverenti rondini rosse poste di fronte al Bailo.

BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO SALA IPOGEA MOSTRA A S. CATERINA, -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA
BORGHESI AG. FOTOFILM TREVISO SALA IPOGEA MOSTRA A S. CATERINA, -RE.USE- ARTE CONTEMPORANEA


Il percorso espositivo è diviso fra le sedi di Santa Caterina, Casa Robegan e Ca’ dei Ricchi (accessibili con un unico biglietto). La sale ipogea e l’ala Foffano del museo di Santa Caterina offrono una carrellata delle correnti, oramai classiche, che dal dadaismo in avanti hanno messo al centro dell’opera d’arte la materia d’uso quotidiano. Accolgono il visitatore alcune autentiche icone del contemporaneo come il “Ferro da stiro a chiodo”, del 1921, e il “Metronomo con foto” (1936) di Man Ray, all’epoca scandalose. Di Duchamp, che distrusse tutte e sue opere poi ricostruite negli anni ’60, è esposto l’ “Oggetto in scatola” (1920).

Tra le icone anche una “Merda d’artista” di Manzoni, l’autore che ha fatto del gesto un’opera arte. E siamo negli anni Sessanta e al Nouveau Réalisme. Si susseguono i décollage con cartelloni pubblicitari strappati di Rotella e le lattine compattate di César. Ci sono Arman, Tinguely, con i suoi assemblaggi di componenti meccaniche, e persino un Christo di dimensioni ovviamente ridotte.

C’è uno Spoerri che esibisce gli avanzi di una cena e poi due tele di Burri del ’56, composte di frammenti di stoffa e sacco strappati. Di Kounellis, massimo esponente dell’Arte povera, sono esposte porzioni di una sedia e di una giacca che escono dalla bidimensionalità della tela creando un oggetto nuovo. Tra le opere esposte c’è persino un servo muto (Fabio Mauri, ’95) completo di abiti appesi; e un’altalena (“L’art s’en balance” di Vautir). Dopo i “Mattoni” di Tony Cragg, che utilizza uno degli elementi costitutivi della dimensione urbana, spicca la “Tovaglia sporca di vino” di Pistoletto su specchio che porta lo spettatore dentro all’opera. Con Gina Pane diventa arte lo stesso rapporto fisico con la natura.

Da non perdere i mozziconi di sigaretta nella vetrina da farmacista del provocatorio Damien Hirst e il ritratto di Mayakowsky con caviale di Vic Munz (2004). Nella sala domina, però, la magnifica “Regina” di Enrica Borghi. Un sontuoso abito alto 5 metri, sormontato da una corona, realizzato con cinquemila fondi di bottiglie di plastica, resistentissime e per niente biodegradabili. Un monito alla stolta civiltà dei consumi e dello spreco che diventa oggetto d’arte di inquietante bellezza.



 

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