Michele Kalamera, è di Treviso la voce Clint Eastwood: «Così interpreto le star del cinema»

Nato a Conegliano nel 1939, doppiatore di fama internazionale, è stato scelto da Eastwood per 25 film, da “Gran Torino” a “Debito di sangue” 

TREVISO. I suoi occhi scorrono il leggio senza perdere di vista lo schermo. Le labbra seguono.

L'ispettore Callaghan ha lo sguardo tagliente di Clint Eastwood, prende per il collo l'assassino. La scena dura quaranta secondi. Un'eternità. La voce in sala doppiaggio si lascia scappare, lentamente: “Coraggio... fatti ammazzare”. Diventerà il titolo del film.

Michele Kalamera, la voce trevigiana di Clint Eastwood


È un trevigiano di Conegliano uno dei più grandi doppiatori d’Italia, 57 anni di carriera, 80 all'anagrafe. Michele Kalamera è la voce italiana di Clint Eastwood, lo ha doppiato in 25 pellicole. “Il texano con gli occhi di ghiaccio”, “Fino a prova contraria”, “Filo da torcere”, “La recluta”, “Gli spietati”, l'indimenticabile “Gran Torino”.

«Ho iniziato a doppiare Eastwood nel 1976, sono stato scelto proprio da lui attraverso un provino», racconta Kalamera. Capolavori assoluti e sfide sempre nuove. «Per fare “Debito di sangue” mi chiesero di rendere la mia voce più roca e afona: doveva essere in linea con la tonalità di Eastwood che si era rovinato le corde vocali».

UN’ALCHIMIA PERFETTA

Il rapporto tra attore e doppiatore è un’alchimia. Calda, profonda, cavernosa, morbida e avvolgente, la voce di Kalamera (cognome greco italianizzato durante il fascismo in Calamera) è perfetta per interpretare il ruvido personaggio dell'ispettore Callaghan.

La coppia si incontra a Roma nel 1995. «Alla prima de “I ponti di Madison County”, Eastwood mi abbraccia e ringrazia. Stava imparando l'italiano e per congedarsi dice: Adesso vado a Trastivere a mangiare pasta all'Amatriciona». Risero tutti affettuosamente.



Per apprezzare il talento del doppiatore trevigiano basta ascoltare, le occasioni non mancano. Nei carteggi dell'Ente nazionale dei lavoratori dello spettacolo il suo fascicolo è alto come un dizionario e conta 25 mila lavori: 5 mila protagonisti di cinema e televisione, 5 mila coprotagonisti, 5 mila personaggi chiave di puntata nelle serie tv, infiniti camei. «Per doppiare bisogna saper recitare ed essere come degli elastici, veloci quando loro corrono, andare lentamente quando loro vanno adagio, allargare o stringere le battute, immedesimarsi nei personaggi, emozionarsi con loro. Più gli attori sono bravi più è facile».

LA CARRIERA

Il carisma della sua voce conquista Alain Delon, ma anche Robert Redford, Burt Reynolds, Cary Grant, Gregory Peck, Gary Cooper, Paul Newman, Michael Caine, Donald Sutherland.

«Doppiare Steve Martin è un gioco di acrobazia, è capace di dire una battuta di 150 parole tutta d'un fiato senza sbagliare un accento, non ci sono pause, c'è da diventare pazzi. La prova più difficile è stata doppiare in Amadeus (prima versione, ndr) Murray Abraham facendo il Salieri giovane e vecchio. Ma grazie ai miei esercizi quotidiani sono ancora un bulldozer, capace di stendere colleghi di quarant'anni. E pensare che diventai doppiatore per caso».

Come accadde? Fede Arnaud, sceneggiatrice e celebre direttrice del doppiaggio in Italia, lo sceglie per dar voce al primo film di Gigliola Cinquetti, “Dio come ti amo”, nei panni di Mark Damon. Kalamera lo definisce un evento fortuito, ma forse era l’annuncio di un destino.

L’AMATA CONEGLIANO

Bisogna tornare alla sua infanzia, semplice, vissuta tra le colline di Conegliano. «Mia madre Alice Fersuoch s'innamora di mio padre Salvatore, che dalla Sicilia viene mandato come carabiniere in servizio al Nord per la gioia del nonno che sempre mi diceva “pane di governo, pane eterno”– ricorda Kalamera – Resto sempre legato a Conegliano, i miei genitori sono sepolti lì tra i vigneti». Affiorano altri ricordi che lo portano a quando era bambino, al casale di famiglia che ancora esiste in via Daniele Manin.

«Attorno c'erano quattro ettari di terra, ho imparato tutto della campagna grazie agli insegnamenti dei miei amati nonni Silvestro e Maria. Il nonno dopo aver fatto fortuna in Svizzera, aveva comprato la proprietà nel Coneglianese per trarne una rendita e invece si ritrovò a dover fare il contadino, costretto dalla crisi del ’29 e dal fallimento della Banca Cattolica del Veneto».

Il piccolo Kalamera vede nascere i vitellini, corre tra i covoni di fieno, va al cinema e sbircia tra le bancarelle per comprare i libretti della Biblioteca Universale Rizzoli da 60 lire. Croce e delizia della sua prima insegnante alle scuole elementari di Campolongo: «Mi diede un indimenticabile castigo perché alla richiesta: scrivete una parola con le sillabe “gl” io vedendo sul muro il disegno di un gallo ho scritto appunto “gallo”».

Tra le scorribande di bambino ce n'è una più vivida delle altre. «L'amico Giancarlo aveva tre anni più di me, un giorno lo buttai giù da un ponte nel Monticano per vedere l'effetto che produceva. Lui non si è fatto nulla, ma la mia punizione fu tremenda». Conegliano è terra di affetti. «Ho due cari amici lì, Nicola e Luciano Francaviglia, i più grandi intenditori di musica pop e rock che io conosca». La sua passione per la recitazione è nata piano piano.

«Ho sempre amato la letteratura, ascoltando la radio mi sono fatto una cultura teatrale. I genitori mi regalarono un Gelosino con cui registravo e riascoltavo le trasmissioni radiofoniche». Dopo il liceo classico, prova a entrare all'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'Amico. «Eravamo in seicento per trenta posti. Schierati davanti a me c'erano Gino Cervi, Orazio Costa, Sergio Tofano in veste di selezionatori. Mi prendono, non ci potevo credere». La sua voce tradisce l’emozione di allora.

«Ma ricordo anche il rammarico di mio padre, che non approvava la mia scelta di diventare attore, mi caccia due volte di casa, lo considerava un mestiere con cui sarei morto di fame». La formazione accademica, invece, non farà che sprigionare il suo talento.

da roma a hollywood

«Ho avuto dei giganti per maestri: Giorgio Strehler e l'amico Andrea Camilleri con cui condividevo l'amore per la Sicilia». Dal palcoscenico del teatro, Kalamera verrà presto catapultato nel mondo della Dolce Vita tra Hollywood e Cinecittà. «Quando arrivavano i film americani era un lavoro incessante, il traduttore e l'adattatore dei dialoghi alle prese con le bobine di pellicola, si lavorava alla moviola, era enorme come una libreria. Oggi con un registratore fai tutto».

Al Fono Roma, lo studio di registrazione in piazzale Flaminio, Kalamera è un habitué. «Dentro a quell'imponente palazzo vidi il maestro Morricone incidere le musiche di “C'era una volta in America”». Nella casa di Kalamera tutto parla delle sue passioni: gli scaffali con migliaia di libri e film, i cassetti con le fotografie dei suoi viaggi attorno al mondo. «La vita è molto più romanzata di qualsiasi romanzo». E come nei film, il lieto fine non è scontato, ma questa volta c'è. «La soddisfazione più grande della mia carriera riguarda mio padre. Con il tempo ha capito la mia scelta e ne fu orgoglioso. Diceva ai suoi amici di Conegliano: “Guardate che stasera c'è mio figlio in tivù”». 


 

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso