Ieri i film di Pieraccioni, oggi realizza gioielli: «Con Ponti alla regia tornerei a far cinema»

L’attrice Mandala Tayde, ex compagna del manager coneglianese Antonio Campo Dall’Orto, si racconta  

Elena Grassi
Mandala Tayde all'Edera Film Festival dove è stata tra i giurati nell'edizione 2025
Mandala Tayde all'Edera Film Festival dove è stata tra i giurati nell'edizione 2025

Non è una fiction se non c’è Mandala Tayde! Era il simpatico tormentone che alla fine degli anni Novanta si scambiavano critici televisivi e appassionati di storie da piccolo (ma anche grande) schermo, tanto era iconico il suo volto e tanto riconoscibile il suo personaggio di ragazza dalla bellezza esotica ma al contempo acqua e sapone.

Da Sandokan a Pieraccioni, da Salemme a Montalbano, Mandala Tayde, oggi splendida cinquantenne, ha attraversato e segnato l’immaginario nazional popolare a cavallo del millennio, ed apparsa come d’incanto, nelle vesti di giurata, a Treviso all’Edera di Film Festival, di cui la Tribuna è media partner, conclusosi con successo sabato 2agosto sera al cinema Edera.

Tayde, partiamo dalla fine: come mai, ad un certo punto, è scomparsa dai radar?

«Quando sono diventata mamma per la seconda volta nel 2010, con la nascita di mia figlia Frida, tre anni dopo il primogenito Leon, ho capito che sarebbe stato complicato continuare la carriera di attrice, per la fatica fisica, e non solo, di questo lavoro. Non sono mai stata una persona ambiziosa, essere attrice è una cosa che mi è capitata e andava bene in quel momento, ma non sentivo più questo fuoco ardere».

In seguito a cosa si è dedicata?

«Sono una creativa “manuale”, nel senso che mi è sempre piaciuto disegnare, cucinare, ho fatto corsi di vetro soffiato, ceramica, mio padre era architetto e mi ha trasmesso la passione per le arti applicate. Mentre ero incinta di mia figlia ho seguito laboratori di oreficeria scoprendo la mia nuova strada: adesso realizzo gioielli fondendo in metalli preziosi semi e spezie».

Come mai questa scelta?

«Sono stata ispirata dal mio amore per la cucina e per le cose piccole, ceci, semi, chiodi di garofano, sono tutti diversi uno dall’altro, hanno tutti una struttura e un loro significato. Attraverso l’oreficeria valorizzo gli elementi di questo piccolo universo, rendendoli eterni con l’oro e l’argento».

Mandala Tayde con Leonardo Pieraccioni nel film "Fuochi d'artificio"
Mandala Tayde con Leonardo Pieraccioni nel film "Fuochi d'artificio"

Tornando all’inizio, lei è nata in Germania da padre indiano e madre tedesca, com’è arrivata in Italia?

«In Germania, da quando avevo 13 anni, facevo la modella e un agente italiano mi ha procurato dei lavori a Milano. Il primo ruolo da attrice è stato per “Il ritorno di Sandokan” con Kabir Bedi, un produttore mi notò perché diceva che assomigliavo a Claudia Cardinale, e lo stesso anno, era il 1996, feci la parte di sua figlia in “Deserto di fuoco” con Vittorio Gassman. Mi sono fidanzata con un ragazzo della troupe e mi sono trasferita definitivamente in Italia».

E nel 1997 è arrivato “Fuochi d’artificio” con Pieraccioni: è vero che ci fu un flirt?

«Ahahaha (ride), per niente. Anzi, devo dire che non c’è stato nemmeno un gran feeling perché io, venendo dalla Germania, non capivo nulla della comicità toscana e anche se lui è stato sempre molto cordiale, abbiamo avuto un rapporto puramente professionale. Eravamo sulla scia del Ciclone e tutta l’Italia fremeva per questo nuovo film, ma l’ho sempre sentito come una cosa esterna a me».

Nel "Ritorno di Sandokan" Mandala Tayde accanto a Kabir Bedi
Nel "Ritorno di Sandokan" Mandala Tayde accanto a Kabir Bedi

Qual è, invece, il suo film del cuore?

«“Santa Maradona” di Marco Ponti, sia perché finalmente ho avuto un personaggio che mi assomigliava, la ragazza della porta accanto, “normale” e incasinata come tutti, sia perché ho mantenuto un legame di amicizia con gli altri protagonisti Anita Caprioli e Stefano Accorsi, che ho rincontrato a Torino un mese fa per il revival del film. Se Ponti mi offrisse una nuova parte, tornerei a fare l’attrice».

Che rapporto ha con il nostro territorio, visto che è stata la compagna del manager ed ex dirigente Rai Antonio Campo Dall’Orto di Conegliano?

«È il padre dei miei figli e siamo stati insieme dal 2004 al 2018, anni in cui ho passato moltissimo tempo della mia vita tra la casa di Castelcucco, che ho arredato personalmente, e gli appartamenti a Venezia, che ho decorato, mentre a Treviso ero venuta solo una volta, perciò sono felice di esserci tornata e scoprire una città bellissima. Adesso vivo a Milano e da molto non frequento queste zone: il film “Brenta Connection”, che ho visto in concorso all’Edera, mi ha messo nostalgia perché rappresenta bene il Veneto e i suoi abitanti, con cui continuo a sentire familiarità. Ringrazio la direttrice artistica Gloria Aura Bortolini per avermi coinvolta in questa esperienza».

Cosa consiglieresti ai giovani registi del Festival?

«Li ho trovati già tutti molto consapevoli e pronti rispetto a quando ho esordito io, che infondo mi sono fatta guidare dal flusso. Però direi loro di credere in sé stessi e andare avanti, perché, come abbiamo visto nel documentario sul triatleta Bernardo Bernardini, piaciuto molto anche ai miei figli, con la forza di volontà si riesce a fare tutto».

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