Giustino Bisol, patriarca del Prosecco Docg: «Tutto iniziò con 600 bottiglie imitando lo spumante di Asti»

96 anni, è l’ultimo pioniere della denominazione Valdobbiadene Dalla Montecatini di Milano alla fondazione nel 1950 della casa Ruggeri

VALDOBBIADENE. 2 giugno 1946: settant’anni fa nasceva la Repubblica Italiana e nell’inverno dello stesso anno prendeva il via la storia imprenditoriale del “patriarca” del prosecco di Valdobbiadene, l’ultima memoria vivente della straordinaria parabola che ha fatto di un vino “semplice” lo spumante italiano più esportato nel mondo. Giustino Bisol, classe 1919, il fondatore della cantina Ruggeri (era il 1950) mai avrebbe pensato che quella sua prima produzione di 600 bottiglie al mese sarebbe stata all’origine, insieme a quella di altri pionieri, di un immenso bacino economico che oggi sforna 80 milioni di bottiglie all’anno. Eppure il capitano Giustino (il grado con cui fu congedato alla fine della seconda guerra mondiale, insignito con la Croce al Valor Militare) non aveva studiato per diventare un produttore di vino - pur se figlio dell’enologo Luigi Bisol e nipote di un distillatore - a differenza di un altro capostipite del Prosecco Docg: Giuliano Bortolomiol (1922-2000), che subito dopo il diploma da enologo alla scuola di Conegliano, insieme a tre amici proprio nel 1946 diede vita alla Confraternita del Prosecco e da sperimentatore qual era creò la versione Brut dello spumante.

Dalla Marca a Milano.

«Francamente fino a 20 anni avrò avuto l’occasione di bere solo qualche volta il vino. La tradizione familiare c’era, però. Mio padre Luigi nel centro di Montebelluna aveva aperto una propria cantina, con la liquidazione dei danni di guerra (la prima ndr) che subì la cantina di mio nonno Eliseo a Valdobbiadene. Io ho studiato ragioneria al Riccati di Treviso e dopo il diploma, mi sono iscritto ai corsi serali dell’Università Bocconi di Milano, perchè la Montecatini, alla ricerca di impiegati, nel settembre del 1938 mi aveva scritto una lettera di assunzione» racconta il novantaseienne imprenditore (ne compirà 97 il 15 novembre), che fino al 2006 ha continuato a lavorare tutti i giorni con la tenacia che gli ha consentito di superare le tremende prove della guerra, di cui saggiò tutti i fronti con la divisa di ufficiale dei carristi: da quello Occidentale in Moncenisio, all’Africa di Tripoli e la Sirte, fino alla Jugoslavia di Cattaro e Ragusa, per poi finire nei campi di prigionia in Germania.

Sul fronte di guerra.

«Mi ero arruolato volontariamente prima del richiamo di leva, nell’estate del 1939, per togliermi subito il pensiero del servizio militare e finire l’università. Invece, un anno dopo Mussolini entrò in guerra e così ci sono voluti sei anni per tornare a casa» ricorda sfogliando, nella grande villa Liberty di Montebelluna, l’album zeppo di immagini color seppia. Fotogrammi di una giovinezza non vissuta, che si è intrecciata con la storia più tragica del Novecento. «Qui sono sul mio carro nella Sirte, oggi lì ci sono quelli dell’Isis» fa notare con ironia, tenendo in mano una foto del 1941, prima che gli italiani fossero ricacciati dagli inglesi a Tripoli. Le memorie di guerra del patriarca sono fitte di episodi: la pleurite che lo colpisce in Libia, il rientro a Napoli all’ospedale militare, l’imbarco a Bari verso la Jugoslavia, l’eroico tentativo di salvare un compagno bloccato nel carro lanciafiamme attaccato dai tadeschi, dopo l’armistizio del 1943, a Ragusa Vecchia ed incui Giustino rimase gravemente ferito, la fame tremenda patita nella detenzione dei lager nazisti, prima a Cholm (Polonia) e poi a Colonia.

La fuga verso casa.

«Fui molto fortunato perchè un giorno, i nazisti ormai allo sbando, rastrellarono tutti i giovani ufficiali italiani che, come me, erano stati mandati a smistare i pacchi alle poste di Colonia. Io ero all’ultimo piano dell’edificio, mentre gli altri venivano caricati su un camion. Non so che fine abbiano fatto. Io, invece, sono saltato di nascosto sul telone di un camion che trasportava le masserizie di un generale tedesco. Non sapevo dove fosse diretto. Ma alla fine dell’aprile 1945 sono riuscito a tornare a Montebelluna».

La ricostruzione

Con una tesi sulle idrovie padane, Giustino Bisol si laureò in economia e commercio a Ca’ Foscari nella primavera del 1946. Tra le licenze e la convalescenza, il giovane montebellunese era riuscito a sostenere gli esami e il dopoguerra si prospettava come un futuro tutto da ricostruire, con tanta voglia di rimettere in piedi l’Italia. «Il 2 novembre 1946 mio padre Luigi morì ed io mi ritrovai ad essere responsabile del mantenimento di mia madre, due sorelle e un fratello. Così ho preso in mano la cantina di famiglia. Come già mio padre dal 1947 al 1949 andavo a comprare le uve da vinificare a Valdobbiadene, in particolare San Pietro di Barbozza. Conoscevo bene molti viticoltori di prosecco e gli osti a cui davamo il vino sfuso in damigiane. All’epoca Valdobbiadene era molto arretrata nella produzione agricola, era terra di emigrazione, il prosecco non dava da vivere alle famiglie, tra il 1950 e il 1960».

L’impresa.

Dal vino venduto in damigiane, con il carretto trainato da una bicicletta o nei fusti da 7 hl trasportati con un Dodge residuato bellico, il giovane Bisol nel 1950 fa il grande salto. Non si accontenta della cantina paterna (in cui aveva cominciato a vendere anche birra e bibita) e insieme al cugino Luciano Ruggeri (proveniente da una famiglia di notai) fonda la cantina “L. Ruggeri e C.” a Fol di Santo Stefano. «Io mi occupavo dell’amministrazione e del commerciale, mio cugino seguiva la parte enologica-produttiva. Cominciammo così, con un solo telefono, il numero 94, e un prestito di 500 mila lire. All’inizio imbottigliavamo 600 bottiglie in una giornata, con l’autoclave da 5 hl, ma il consumo dello spumante era limitato al periodo di Natale e delle feste. Noi conferivamo il prosecco da spumantizzare anche alla Carpenè Malvolti e ad un certo punto con Luciano ci siamo chiesti “Perchè non ce lo facciamo noi?”. Ed è cominciata così, avendo come tipologia di riferimento lo spumante Asti, molto dolce».

I nuovi mercati.

Di prosecco sotto i ponti ne è passato da quel 1950. Giustino commercializza il suo vino fuori dalla provincia di Treviso, prima nel Veneto, poi va a Milano e in Lombardia, quindi la conquista del mercato italiano e dagli anni ’90 dell’estero (ben 40 i paesi in cui si beve Ruggeri, con un milione e 300 mila bottiglie). «Bisogna essere forti a casa propria prima di aprire ad altri mercati», sottolinea il pioniere Giustino. Nel 1989 la sua strada si è divisa da quella del cugino con cui tutto iniziò ed è entrato in azienda il figlio Paolo, che oggi si occupa della produzione e tiene la barra della cantina Ruggeri con i figli Isabella e Giustino junior. Il patriarca si è ritirato nel 2006, ancora continua a dare il proprio contributo all’azienda, seguendo vendite e bilanci, tracciando con penna e righello schemi riassuntivi dei conti aziendali. Da un mese è in commercio la ventesima vendemmia del “Giustino B.” Valdobbiadene prosecco superiore Docg. Edizione limitata con ogni singola etichetta firmata dall’anziano imprenditore. A chi si complimenta per il successo del suo lavoro, Bisol risponde: «Ho fatto quello che dovevo fare». Ecco, il senso del dovere, segno di una generazione irripetibile.

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