Al Bailo il grande omaggio a Piazza

A dieci anni dalla scomparsa del pittore ed incisore, il museo civico lo celebra con una mostra  
[ D 11 ] Angolo di giardino al sole di gennaio 1969 olio su tela cm 80x80 collezione privata
[ D 11 ] Angolo di giardino al sole di gennaio 1969 olio su tela cm 80x80 collezione privata
Francesco Piazza è stato un artista con una presenza discreta sulla scena cittadina, nonostante abbia vissuto a Treviso dagli anni cinquanta e i suoi dipinti e le sue incisioni siano state apprezzate all’estero e in molte città d’arte.


A dieci anni dalla sua scomparsa, il Museo Civico Luigi Bailo inaugurerà, venerdì 29 settembre alle ore 18, una retrospettiva, un tributo opportuno dunque, nelle sale rinnovate del piano terra.


La mostra è promossa dalla Fondazione Feder Piazza onlus, con il patrocinio del Comune e la partnership del Rotary Club di Treviso e rimarrà aperta fino al 12 novembre.


La Fondazione Feder Piazza, costituita nel 1989 per onorare l’impegno di educatrice della moglie e, poi, per promuovere l’opera dell’artista e progetti culturali, si trova in Strada dei Biscari, al numero 22, nella parte vecchia di Santa Bona, ed è la casa dove Francesco Piazza ha vissuto per molti anni e dove aveva il suo studio, immersa nella natura.


Un piccolo polmone verde resiliente al degrado ambientale, che ha costituito il suo microcosmo, fonte principale di meraviglia, di incanto e di riflessione.


La prima sezione della mostra è dedicata ai dipinti realizzati tra il 1954 e il 1995, che raffigurano paesaggi, nelle varie stagioni, fiori, come ortensie, gerani o il suggestivo glicine come un drappeggio; alberi, come il faggio a novembre, i ciliegi in fiore e i kaki luminosi in un giorno grigio; ma pure angoli abbandonati e umili del sottobosco.


Influenzato dal nonno materno, macchiaiolo, e dalla
palette
, come la chiamano inglesi e francesi, di Guglielmo Ciardi e di altri vedutisti di fine Òttocento e in certi momenti, dai prati di Klimt e di Monet, Francesco Piazza ha dato un’impronta singolare alla sua pittura, senza sconfinare nella pura decorazione, alla ricerca dell’essenza delle cose e del sacro e della bellezza della realizzazione.


E dunque, ierofania, ovvero manifestazione del sacro negli alberi, nelle foglie, nei fiori e nei frutti, ma pure negli anfratti illuminati della natura.


Nella seconda sezione della mostra sono esposte le acqueforti, dalle prove giovanili alle incisioni della maturità, che possono essere viste con degli appositi espositori, anche per investigarne il segno delle architetture cittadine, delle colline e dei vigneti, le luci intermedie e le scritte.


Da giovane, Francesco Piazza abitava vicino a Giovanni Barbisan, che proprio in quegli anni aveva trasformato la sua casa in un laboratorio di incisione, punto d’appoggio per giovani artisti, e così ha avuto la possibilità di sperimentare e di diventare un incisore di valore.


Disobbedendo alle sollecitazioni di Giovanni Comisso, che lo incitava ad abbondare il percorso artistico per la scrittura e la poesia, che invece ha praticato per tutta la sua vita.


Piazza è stato infatti anche un poeta, oltre che un educatore, e un volume di sue poesie, inedite, sarà presentato, a cura di Gian Domenico Mazzocato, all’interno della mostra, il 24 ottobre, alle ore 18.


E poiché la sua arte è stata un labirinto inestricabile di idee e visioni, domenica 29 ottobre, alle 16 e alle 19, Andrea Marcon, al clavicembalo, con Mauro Spinazzè al violino, e Massimo Racanelli, al violoncello, suoneranno Vivaldi e Bach, a stretto contatto e in dialogo con le opere dell’artista. (L’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria).Le 39 acqueforti esposte e un’ulteriore serie dedicata alla città, con un dipinto a olio, saranno donate dalla Fondazione Feder Piazza al Comune e ai Musei civici.


Nel breve saggio del catalogo, che contiene contributi critici anche di Gian Domenico Mazzocato, Eugenio Manzato e Paolo Ruffilli e testimonianze di Giovanni Barbisan, Sandro Zanotto e Luigi Pianca, Marco Goldin ha scritto che Piazza è stato tra i maggiori incisori di una terra, quella trevigiana, che ha visto presenze straordinarie in questa disciplina e che tra tutti loro, ‘egli ha coltivato il senso di una chiarità della luce più insistita, dove il rapporto tra la luce stessa e l’ombra è stato da subito il cardine irrinunciabile del racconto’.


Aldo Magoga


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