Zucchetto presidente del tribunale di Enna

Da Valdobbiadene alla Sicilia nella stagione della grandi stragi di mafia «Non ho mai avuto la scorta, amo questa regione: qui ho iniziato a mia carriera»

VALDOBBIADENE. Cesare Zucchetto è il nuovo presidente del Tribunale di Enna. Il magistrato valdobbiadenese, che è stato recentemente nominato dal Csm, vive in Sicilia dal 1993. È consigliere della Corte d’Appello di Caltanissetta. Nella sua terra d’origine torna regolarmente per far visita alla madre e al fratello Antonio, farmacista. «I miei amici mi tartassano con il Prosecco», dice, «un vino che piace molto ai siciliani». La notizia della prestigiosa nomina è destinata a suscitare compiacimento e soddisfazione a Valdobbiadene, dove Cesare Zucchetto ha studiato, frequentando il liceo scientifico. Dopo la laurea in giurisprudenza, a Padova, ha vinto il concorso in Magistratura e nello stesso anno si è trasferito a Caltanissetta, dove ha lavorato fino alla fine del 1996 come giudice civile e penale e in seguito come giudice del riesame.

Era la stagione delle stragi di mafia.

«Quando uccisero Falcone e Borsellino ero giudice del riesame e come tale ho partecipato ai processi relativi alle stragi di Capaci e di via D’Amelio. Una stagione davvero difficile. Mi sono sentito dentro la storia. Ho fatto qualcosa che mi ha lasciato una traccia profonda, non solo a livello professionale».

Ha mai avuto paura?

«No e non ho mai avuto scorte. Certamente è stata una esperienza forte».

Com’è arrivato in Sicilia?

«A quei tempi, credo di essere stato il primo valdobbiadenese a diventare magistrato, quasi tutte le sedi libere si trovavano al Sud. In relazione alla mia graduatoria, non ho potuto scegliere, se non fra Caltanissetta, Palermo, Ragusa e Marsala: ho preferito la prima, non so neanch’io perché».

In seguito ha sposato una nissena.

«Vero, ma nel 1997 ci siamo trasferiti a Trieste, dove per sei anni ho fatto il gip mentre mia moglie, che è notaio, aveva lo studio a Monfalcone. Un bel periodo. In seguito alla nascita di nostro figlio però abbiamo deciso di tornare in Sicilia, dove nel frattempo si erano liberate, per entrambi, le sedi di Caltanissetta. Qui ho fatto il gip per un anno, il giudice civile, poi sono arrivato in Corte d’Appello e infine alla presidenza del Tribunale di Enna. A causa delle formalità burocratiche non sono ancora entrato in possesso delle funzioni; spero di farlo entro il prossimo mese».

Cosa significa per lei fare il magistrato?

«È un lavoro appassionante, anche se ci sono arrivato per caso; in realtà mi vedevo notaio. Poi ho fatto il concorso in magistratura e lo ho superato. Devo dire che i primi anni sono stati particolarmente emozionanti. È un lavoro che continua ad appassionarmi. Non farei mai il pubblico ministero. Sono fatto per studiare i fascicoli, leggere le carte, trovare la soluzione».

Si parla tanto del carico civile, dei ritardi nei processi. Cosa non funziona?

«I problemi sono noti e vanno dalla diminuzione dell’organico, alla eccessiva conflittualità degli italiani, al numero degli avvocati. D’altro canto è accertato che i magistrati italiani sono tra i più produttivi d’Europa; siamo chiamati ad aumentare la produttività, ad essere veloci. Bisogna però considerare che il giudice deve studiarsi il fascicolo, fare le ricerche giurisprudenziali e scrivere la sentenza; tutte pratiche che richiedono tempo».

Le manca la sua terra d’origine?

«Sono molto adattabile. Per il mio lavoro, sto bene dove sono. In Sicilia ho trovato una mia dimensione. Enna è comunque la provincia più alta d’Italia e quindi come alpino e alpinista mi sento appagato».

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