Bomba al liceo Flaminio di Vittorio Veneto: nessun colpevole
Dopo Stefano Milacic, assolto anche l’operaio vittoriese Fabio Piasentin, accusato di aver partecipato all’attentato del 2 giugno 2018. L’avvocato Franchini: «Erano solo congetture». Il pm De Bortoli aveva chiesto 4 anni e cinque mesi

È stato assolto da tutte le accuse Fabio Piasentin, 49 anni, operaio vittoriese (difeso dall’avvocato Sara Franchini), accusato dalla procura della Repubblica di Treviso di aver partecipato alla spedizione al liceo Flaminio di via Battisti a Vittorio Veneto, che culminò con lo scoppio dell’ordigno nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2018, addosso al muro dell’ingresso secondario della scuola.
L’esplosione mandò in frantumi i vetri di numerose finestre e avvenne in coincidenza con la notte della festa della Repubblica e con l’imminente arrivo in città delle Penne Nere per l’Adunata del Triveneto degli alpini, tanto che inizialmente qualcuno pensò a un’esplosione con movente politico. «Io quella sera – s’era difeso Piasentin in aula – ero andato in un bar di Vittorio Veneto dove mi incontrai con Stefano Milacic».
Quest’ultimo, un 53enne, meccanico di Carpesica, era co-imputato di Piasentin per gli stessi fatti, ma, dopo una condanna in primo grado a 2 anni e 4 mesi in rito abbreviato, un anno fa, era stato clamorosamente assolto dai giudici della Corte d’Appello di Venezia.
«Il barista ad un certo punto si avvicinò a noi e ci disse di andare a vedere con lui una “furbata” in un cantiere. Poco dopo lo raggiungemmo in macchina davanti al Flaminio. Ma mentre Milacic mi fece scendere e poi se ne andò, io rimai lì. Trovai il barista che fumava una sigaretta con la sua bicicletta appoggiata al muro. Gli chiesi cos’aveva intenzione di fare e lui mi disse “Guarda là”, indicandomi un ordigno con miccia a terra. Dopo averla acceso, mi disse: “Andiamocene, io di qua e tu di là”. Ci dividemmo. Dopo un po’ quando svoltai l’angolo, sentii una potente deflagrazione e il rumore dei vetri infranti del vecchi Liceo. Ci ritrovammo, più tardi di nuovo al bar. Io ero scosso ma non trovai la forza di denunciare il fatto all’indomani perché all’epoca avevo un procedimento penale in corso e temevo che non mi avrebbero creduto. Ma ripeto: questa è la verità».
L’ordigno, come ha sottolineato in aula un esperto balistico, non era detonante ma deflagrante. «Non era potenzialmente micidiale – aveva detto – ed era fatto di polvere pirica». Piasentin era accusato di calunnia nei confronti del barista vittoriese, la cui testimonianza alle forze dell’ordine contribuì a inguaiare Piasentin e Milacic e a scagionare sé stesso, oltre che di possesso di materiale esplosivo e danneggiamento.
A coordinare l’inchiesta era stato il pubblico ministero Massimo De Bortoli, che martedì 15 aprile, in requisitoria, aveva chiesto la condanna di Piasentin a 4 anni e 5 mesi complessivi (due anni e 3 mesi per l’esplosivo e il danneggiamento e due anni e 2 mesi per calunnia).
L’avvocato Franchini, da parte sua, ha sostenuto che Piasentin si recò sul posto dove poi scoppiò la bomba senza sapere quello che sarebbe successo e quindi fu coinvolto in una vicenda n di cui non aveva alcuna responsabilità. «Solo sospetti e congetture basate sulle false dichiarazioni del barista», ha detto l’avvocato che ha chiesto e ottenuto l’assoluzione dell’imputato.
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