«Vessati da Bankitalia» È la rabbia dei piccoli

«Perché Banca d’Italia fa la voce grossa solo con i piccoli? Dov’era mentre il castello di carte di Montepaschi di Siena veniva giù?». Catenaccio. Arrocco. Quadrato. «Se ci sono stati errori, sono errori veniali. Non paragonate il caso del Credito Trevigiano a quello della Banca di Monastier e del Sile». Lì la storia è iniziata in maniera simile, con un bilancio in rosso e prestiti sotto accusa, ma ora il finale lo scriverà il giudice (i quattro ex massimi dirigenti sono a processo). «Qui a Vedelago è diverso».
C’è chi ci mette nome e cognome, nel cercare di raccontare cosa sta succedendo attorno a Villa Emo, e chi invece preferisce di no. Il succo però è lo stesso: questa bufera sul Credito Trevigiano è figlia di una crisi di tutto il sistema bancario, e non di malefatte, giochi nell’ombra, azioni penalmente rilevanti. Uno di quelli che ci mettono nome e cognome è Sergio Rigon, uno dei consiglieri d’amministrazione “superstiti” dopo le dimissioni di Nicola di Santo (presidente), Carlo Zacco (vice), Daniele Graziotto e Paolo Vendramini. «La situazione non è critica, è tutto sotto controllo, non c’è niente di strano». Eccesso al ribasso? No, secondo Rigon, che smentisce ipotesi di ulteriori dimissioni nel cda: «Io rimango al mio posto, e credo anche gli altri consiglieri, la banca funziona come se non fosse successo niente». Qualcosa, però, è successo. E la lente inquadra un prestito milionario al Maglificio Montegrappa, che poi ha portato i libri in tribunale. «La banca non lo sapeva, è stato un fulmine a ciel sereno. Il Maglificio era cliente da circa vent’anni, non c’erano avvisaglie». E conflitti d’interesse, visto che all’epoca del finanziamento nel cda sedeva anche Daniele Volpato, la cui famiglia è proprietaria dello stesso maglificio? «C’è un indagine in corso, e ci sarà qualche sanzione da fare, arriverà».
Già, l’ispezione. Qualcuno la vede come un accanimento. Non vuole metterci il nome per prudenza istituzionale, ma è qualcuno che quel cda lo ha conosciuto in prima persona. «Bankitalia fa la voce grossa con i piccoli, ma a Siena ha chiuso gli occhi, mi pare. Qui invece, con la minaccia del commissariamento, ha preteso la testa del presidente». Nessuna autocritica? «Errori ci saranno stati, per carità, chi non ne fa. Ma non sull’acquisto di Villa Emo, né sul finanziamento al Maglificio Montegrappa. Se devo cercare un errore, lo trovo nell’avvicendamento rapido di quattro direttori generali diversi, ma purtroppo è andata così. Quelli bravi vanno nelle grandi banche, e quelle piccole devono cercare di coltivarseli in casa. Noi siamo stati sfortunati, diciamo così».
La situazione, però, dall’interno viene definita «sotto controllo. Tranquillizziamo soci e clienti», dice Rigon, «la banca è solida». La crisi che ha travolto anche il Credito Trevigiano, secondo Rigon, «nasce dal sistema». E spiega: «Negli anni fra il 2003 e il 2005 anche noi eravamo obbligati a finanziare il 120%. Obbligati, sì, perché se lo fanno le grosse banche devi farlo anche tu piccola per restare sul mercato. Poi il meccanismo si è inceppato, con la crisi che è deflagrata, lo stallo del mercato immobiliare, le svalutazioni degli immobili stessi».
E adesso? Resta da chiarire se saranno cooptati nuovi consiglieri nel cda, magari su “consiglio” di Bankitalia, in attesa che gli uomini di Palazzo Koch completino l’ispezione a Vedelago che è in corso dal 5 dicembre. E resta da capire come intende muoversi su questa partita la Federazione veneta delle Bcc.
Di certo, l’assemblea del Credito Trevigiano a maggio sarà molto attesa.
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