Venerandi: «Mi vien voglia di mollare»

Il “re delle discoteche” consolato da Zaia e dagli amici sindaci a pranzo a “Casa di Caccia”: «Ho rischiato la vita»
Di Rubina Bon

MONASTIER. «Meno di un mese fa la stessa sorte era capitata a mia figlia Carmen, rapinata vicino a Mantova. Ed io mi ero preoccupato, pensando che prima o poi sarebbe toccato anche a me». Renzo Venerandi, 67 anni, il “re delle discoteche”, parla il giorno dopo l’assalto notturno che lo ha visto per un’ora in balia di un commando di quattro banditi. All’una della notte di lunedì i malviventi hanno atteso Venerandi dietro ai cespugli della sua villa in via Pisani a Monastier, lo hanno spinto in casa e sotto la minaccia di una pistola gli hanno intimato di consegnare il denaro. Il segno della canna dell’arma schiacciata sul volto dell’imprenditore, all’altezza dell’occhio, è ancora ben evidente a oltre 36 ore dal fatto.

«Mi dicevano “Ti faccio un buco”, “Ti taglio un dito”, “Ti sparo sulle gambe”», racconta Venerandi, «Se non mi è venuto un infarto… È stata un’ora terribile, mi sembra ancora di vederli. Non sapevo se ne sarei uscito vivo o morto. Se io avessi sparato, forse mi avrebbero ucciso loro. E chissà per quanto tempo non me li dimenticherò». Poi aggiunge: «Per fortuna è andata anche bene. Un po’ la fatalità, con l’arrivo del mio aiutante che li ha visti scappare, un po’… ci sarà stato qualcuno dall’alto che mi ha protetto».

Il giorno dopo quei lunghissimi minuti in balia dei banditi, l’adrenalina sta scendendo e Venerandi si lascia andare a uno sfogo. «Cerco di non pensare a cosa è successo, altrimenti verrebbe da andarsene dall’Italia. Ma ormai ho 67 anni, ho tutti i miei affetti qui, è una vita che lavoro qui, però queste cose ti smontano», racconta l’imprenditore, «Grazie al colpo di genio di un carabiniere è stato individuato uno dei banditi. Però adesso sono sicuro che il giudice lo metterà di nuovo agli arresti domiciliari e lui continuerà a fare ciò che ha sempre fatto. Non c’è punizione giusta per fatti del genere. In passato erano stati trovati i responsabili sia della rapina a mio figlio che ai miei fratelli, e alla fine cosa hanno fatto ai banditi? Niente».

Per Fejzi Kulluri, l’albanese arrestato dai carabinieri, Renzo Venerandi chiede che «la giustizia italiana sia pesante nei suoi confronti». «E speriamo che prendano anche gli altri tre», aggiunge. La notizia ufficiale dell’arresto è arrivata ieri all’imprenditore mentre con politici, amministratori e rappresentanti delle associazioni locali stava pranzando al “Club Casa di Caccia”, la sua ultima “creatura” a due passi dalla villa della rapina. Un appuntamento fisso da venti anni, che però ieri ha assunto una valenza particolare. Venerandi aveva pensato di annullarlo dopo i fatti di lunedì notte, poi ha cambiato idea. Presenti, tra gli altri, il governatore Luca Zaia, che giovanissimo aveva lavorato come pr al “Manhattan” di Godega, di proprietà della famiglia Venerandi, e che già lunedì aveva espresso solidarietà all’imprenditore, poi il presidente della Provincia Muraro, i sindaci Lo Stimolo (Monastier), Cappelletto (San Biagio), Missiato (Spresiano), Sonego (Gaiarine) e altri. «Venerandi è un grande lavoratore, non meritava questo», commenta il primo cittadino di Monastier. «Ho ricevuto solidarietà da tantissimi», conferma Venerandi mentre il cellulare continua a squillare. Risponde a una telefonata e il volto gli si distende: «Hanno ritrovato le altre due armi che mi avevano rubato, una Beretta e una pistola per il tiro a volo con la sua valigetta». Ma il ricordo torna ancora a lunedì notte, quando Venerandi è stato portato in caserma per il riconoscimento di quanto era stato trovato a casa dell’albanese poi arrestato. «Ho visto i miei polsini e le spille che mi avevano regalato per i compleanni: c’era quella con il sassofono, quella di Italia 90 e lo stemma di Forza Italia. “È uno di loro, l’hanno beccato”, ho pensato. E mi sono commosso».

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