Il viaggio della Cgil tra i braccianti durante la vendemmia nel Trevigiano
Il 98 per centro è stato trovato senza misure di sicurezza. Danilo Maggiore, segretario Flai: «Niente abbigliamento adeguato, lavoratori reclutati davanti ai centri accoglienza»

«Abbiamo parlato a 500 lavoratori di 18 nazionalità diverse, ci siamo confrontati con 15 imprenditori agricoli e all’alba eravamo davanti ad un Cas (centro accoglienza) a vedere i pulmini che di soqquatto prelevavano i lavoratori, rifugiati che se scoperti perderebbero i requisiti per poter dormire nel centro accoglienza».
Questi sono i numeri delle brigate del lavoro, l’iniziativa sindacale promossa dalla Flai Cgil di Treviso e del Veneto la settimana scorsa e che si è conclusa sabato 19 settembre e che ha toccato i vigneti delle Colline dell’Unesco oltre che quelli delle zone dell’Opitergino e del Mottense, a raccontarli Danilo Maggiore, segretario generale della Flai Cgil di Treviso.
L’obiettivo del sindacato di strada è stato quello di portare informazione tra i lavoratori impiegati nella vendemmia, al centro i diritti sia personali che contrattuali e a latere piccoli gadget come il cappello di paglia, un brick di acqua e un giubbino catarifrangente.
La cosa però non è piaciuta alle alte sfere politiche e ha scatenato il dibattito tra l’assessore al turismo Federico Caner che aveva dichiarato: «Un gruppo di esagitati è entrato nei vigneti di Santo Stefano di Valdobbiadene, inveendo contro i viticoltori e urlando frasi sconnesse su presunti diritti dei lavoratori» e Andrea Zanoni, consigliere regionale Alleanza Verdi Sinistra Avs che ha preso le loro parti. Nel mezzo i lavoratori.
Chi sono i braccianti
Tra gli stranieri i più giovani hanno 20 anni, i più anziani sfiorano i 40. Arrivano da tutto il mondo, i volontari in 5 giorni hanno incontrato cittadini marocchini, albanesi, ucraini, indiani, pakistani, bengalesi, nepalesi, brasiliani, originari del Burkina Faso e del Mali.
La maggior parte di loro si trovava già in provincia di Treviso, qualcuno però è arrivato anche da Pordenone e da Rovigo. «Per oltre il 95%, i lavoratori sono stati reclutati dalle cooperative che somministrano forza lavoro nei campi, lavorano cioè per aziende contoterziste, non assunti dalle società agricole. Questo dimostra che lo strumento delle check list, cioè il documento che deve essere compilato dall’imprenditore per censire le cooperative, è utile, anzi è fondamentale».
Le zone grigie
È capitato che quando sono arrivati nei campi i sindacalisti siano stati accolti dai lavoratori stessi con la risposta pronta: «Noi busta paga a posto, noi contratto a posto», avrebbero detto gli operai.
In realtà la zona grigia si è delineata in modo molto preciso: «Abbiamo raccolto dati non in linea con la contrattazione come pagamenti di 6 euro all’ora. È stato formativo per noi e abbiamo visto che le dotazioni di sicurezza sono labili, in pochi casi i lavoratori indossavano scarponcini o abbigliamento adeguato, se dovessi quantificare direi che il 98% dei lavoratori non disponeva di un livello di abbigliamento di sicurezza adeguato», certifica Maggiore.
E poi c’è una zona che è molta più scura: il reclutamento da parte delle cooperative di rifugiati direttamente dal Cas. «Alcuni ci guardavano come se niente fosse, altri cercavano di nascondere il volto».
Gli imprenditori
«Abbiamo incontrato anche una quindicina di imprenditori» conclude Maggiore, «con loro c’è stato un confronto sereno e di rispetto reciproco. Erano tutti stati informati della check list dalle associazioni datoriali, noi abbiamo ribadito l’importanza. Loro hanno risposto elencandoci le difficoltà che si trovano ad affrontare tra i danni del maltempo e gli impegni burocratici. Nessuno ci ha insultato».
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