«Va fatta prevenzione sulle madri»

«La prevenzione è il principale mezzo a nostra disposizione per contrastare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili. In dieci anni abbiamo visto che è l'unico sistema che funziona. La condanna non porta a nulla: trattandosi di un tabù culturale, occorre entrare in sintonia con queste donne e scoraggiare la ripetizione della pratica con le loro bambine». Lo dice Marta Fontana, ginecologa del Consultorio dell'Usl 9 che settimanalmente s'imbatte in pazienti che hanno subito infibulazione, magari in attesa di una figlia. Fondamentale in questi casi è la tempestività dell'intervento di dissuasione, affinché il “taglio” non venga perpetrato sulla nascitura, continua il medico: «Quando dall'ecografia morfologica vediamo che nel grembo c'è una bambina, ha inizio un lavoro di coinvolgimento della futura mamma e di suo marito, che spesso funge da traduttore per la compagna. L'obiettivo è la dissuasione che deve partire dalla stessa madre. E' la donna che per prima deve condannare la pratica, compiuta su di lei, e rifiutarla per sua figlia, altrimenti il rischio è che una volta tornata con la piccola nel paese d'origine, le pressioni della comunità locale la inducano a cedere».
Ma un'attenzione costante verso le mutilazioni genitali femminili è anche quella delle sale parto. E' proprio nel momento in cui deve venire al mondo un bimbo, che i danni delle mutilazioni genitali subite possono portare a complicanze, anche gravi nella partoriente. «Oltre agli esiti cicatriziali sulla cute, che tende a irrigidirsi, ci possono essere infezioni, lacerazioni e cistiti. Molte volte ci sono problemi di distensione del perineo, anche importanti, che rendono più difficile e doloroso il parto», conferma Daiana Bettin, ostetrica castellana.
Sembra ancora lontano il traguardo del “2015 a tolleranza zero” promosso dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite che punta a entro quella data a eliminare la pratica nel mondo. In questi ultimi dieci anni l'Usl 9 ha avviato diverse iniziative di formazione del personale, a tutti i livelli.
«Il lavoro è e sarà lungo. Bisogna insistere sull'empowerment di queste donne, sul loro diritto alla salute e ai diritti umani. L'infibulazione è un marcatore d'identità e di genere. Più l'integrazione del paese ospitante non funzion a, più ci si ritira nel gruppo di appartenenza», conclude Teresa Rando (in foto), psicologa materno infantile dell'Usl 9, promotrice di numerosi corsi di formazione e informazione sulle mutilazioni femminili. (v.c.)
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