Un’odissea durata più di 50 ore per tornare dalla Nuova Zelanda

ODERZO
Più che per incoscienza, il viaggio che Raoul Brugnera, 24enne di Colfrancui, aveva iniziato il 7 marzo alla volta della Nuova Zelanda era pensato per vivere una nuova esperienza. Ne ha vissuta una di irripetibile, visto che è capitata proprio durante il picco pandemico: al suo rientro in Italia sono state poche le mascherine che ha visto indossare in aereo da passeggeri e personale. Dopo la laurea triennale in Viticoltura ed enologia a Udine, un periodo di lavoro in Toscana e un anno passato nelle vigne della California, per lui l’esperienza nella zona di Blenheim (vale a dire la Valdobbiadene neozelandese) era importante.
Dopo aver preparato tutti i documenti è partito da Venezia, ha fatto scalo a Zurigo e Hong Kong ed è arrivato a Auckland: era l’8 marzo, il giorno in cui in Italia sono entrate in vigore le prime zone arancioni. Raoul è rimasto in autoisolamento per due settimane e ha iniziato a lavorare in cantina il 20 marzo, proprio il giorno in cui anche il governo neozelandese ha imposto la serrata: «Eravamo servizio essenziale, quindi abbiamo lavorato normalmente: il contratto mi è scaduto il 2 maggio, ma non ho aspettato quel giorno per programmare il rientro in Italia», racconta Raoul. La situazione nel frattempo era precipitata e lui aveva contattato la Farnesina per capire se c’era la possibilità di essere rimpatriato.
Il Ministero ha mandato alcuni moduli da compilare, ma ha subito messo in chiaro che l’Italia non avrebbe organizzato voli speciali per i connazionali in Nuova Zelanda: «L’ambasciata raccoglieva le richieste e poi cercava i posti disponibili nei voli organizzati da Germania, Olanda e Regno Unito: se c’erano posti partivi, ma lo sapevi dall’oggi al domani», ricorda il giovane. Dopo aver strappato un biglietto, Raoul è partito da Blenheim in auto verso Christchurch, 300 km di strada statale coperti in 4 ore e mezza. Lì ha preso il primo volo per Auckland con Air New Zeland: «Tutti i posti erano pieni: non era rispettato il distanziamento sociale e nessuno aveva le mascherine addosso, tranne noi italiani», racconta.
Dopo sette ore di attesa, sul volo per Los Angeles operato dalla stessa compagnia la situazione era molto simile: «Il volo era strapieno, ma le mascherine ce le avevano solo alcune assistenti di volo. Negli Stati Uniti i controlli sono stati normali e sul volo di British Airways diretto a Londra c’era una persona ogni tre posti, ma molti passeggeri e parte del personale non aveva la mascherina». Dopo aver passato a Londra Heathrow otto ore senza che nessuno gli misurasse neanche la temperatura, verso le 17 del 3 maggio Raoul ha preso il volo Alitalia che lo ha riportato a Roma: «Quello è stato l’unico volo in cui è stato rispettato il distanziamento e tutti avevano le mascherine, tranne un gruppetto di americani», racconta.
Dopo accurati controlli a Roma ha fatto ritorno a casa in auto: era la notte del 3 maggio e stava viaggiando da 50 ore, ma ha trovato anche il tempo di farsi fermare dalla polizia all’uscita dell’autostrada: «Sto finendo la mia seconda quarantena: ne ho per qualche giorno». —
Niccolò Budoia
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