Uccise la moglie, Casagrande torna libero

SPRESIANO. È un uomo libero. Il magistrato di sorveglianza del tribunale di Venezia ha stabilito che l’uxoricida Bruno Casagrande non è più «socialmente pericoloso». Di conseguenza, da oggi stesso, l’ormai settantaquattrenne potrà tornare alla sua vecchia vita, quella precedente al 16 dicembre 2005. Quella sera di nove anni fa Bruno Casagrande (assistito dall’avvocato Enrico Villanova, del foro di Treviso) aggredì e uccise a bottigliate in testa la moglie, Maria Luigia Breda. La donna morì, dissanguata a seguito delle profonde e violente ferite inferte dalla mano di Casagrande. Quella però, per tutti gli specialisti che hanno scandagliato la psiche dell’uomo, è preistoria. Ieri il giudice Barbara Dalla Longa ha stabilito che è venuta meno la sua pericolosità sociale.
Casagrande torna libero. Al momento del processo Casagrande era stato ritenuto non imputabile per totale incapacità di intendere e di volere. Ed ecco la misura di sicurezza (dieci anni di ospedale psichiatrico giudiziario), via via alleggerita negli anni, fino ad arrivare all’accoglimento in una casa Famiglia. Pochi giorni fa l’udienza di fronte al tribunale di Sorveglianza. Sul tavolo del giudice, pacchi di documentazione che descrivono un quadro completamente modificato rispetto al 2005. I carabinieri e la Questura non hanno ricevuto alcuna segnalazione su di lui, lo psichiatra ha sottolineato che Casagrande ha accettato il programma di reinserimento, prende le medicine, partecipa alla vita comunitaria e ha mantenuto rapporti con il figlio e i parenti. Sulla base delle relazioni, il giudice Della Longa ha rilevato che il settantaquattrenne non può essere considerato pericoloso in perpetuo: ha espresso la volontà di restare nella Casa famiglia nonostante la totale libertà, un’ulteriore rassicurazione della costanza delle cure.
Omicidio a bottigliate. Secondo la magistratura, Casagrande è un altro uomo rispetto al 16 dicembre 2005. Quella sera, poco dopo le 22.30 la moglie Maria Luigia, al culmine di un litigio, osò dirgli «non vali nulla», e poi lo colpì con una bottigliata sul braccio. Lì esplose la sua follia omicida: strappò di mano la bottiglia alla moglie e iniziò a colpirle il capo e il volto, con una violenza inaudita. Non gliene bastò una: Casagrande prese un’altra bottiglia di vetro da due litri e colpì ancora, fino a finirla. Arrestato, ebbe inizio un lungo iter giudiziario. In carcere ha provato due volte a togliersi la vita, poi il processo, terminato con la non imputabilità per totale incapacità di intendere e di volere. Come misura di sicurezza, si decise per dieci anni di Opg, a Reggio Emilia. Casagrande, in questi anni, ha cercato di seguire la terapia alla lettera. È migliorato fino alla decisione di affidarlo a una Casa famiglia a Villorba. Lì ha dimostrato di essere capace di seguire le terapie, le regole della comunità e della vita sociale.
«Oggi è un’altra persona». L’avvocato Enrico Villanova, suo difensore dai tempi del processo, ha sempre seguito l’iter giudiziario di Bruno Casagrande. «Per Casagrande quanto avvenuto nel 2005 è preistoria. Fin da subito ha iniziato a seguire le terapie, a cercare di reintegrarsi nel tessuto sociale, non infrangendo mai le disposizioni della magistratura. Nonostante lo stato di libertà, ha deciso di rimanere nella casa Famiglia, di continuare a lavorare per la cooperativa trevigiana in cui è stato inserito. Prende le medicine prescritte e sta mantenendo stretti rapporti con il figlio. Ha dimostrato un estremo senso del dovere. Ha detto che non può lasciare il lavoro perché ha delle responsabilità, che la libertà concessa dal giudice gli servirà per poter prendere la corriera per andare dal medico, per poter trascorrere qualche giorno con suo figlio, per non pesare più su chi lo doveva accompagnare ovunque. Il giudice ha riconosciuto il percorso fatto, non ritenendo perpetua la pericolosità sociale di Casagrande».
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