Lettere al vetriolo e battaglie con i cronisti. Il rapporto unico tra “Genty” e il nostro giornale: «Nessun saluto»
Chiamava Pravda il nostro quotidiano, espulso da Ca’ Sugana dopo le nostre inchieste: il “processo” con i vertici del giornale, la mappa del Put, i casi Plateroti e centro commerciale

«Nessun saluto». La sua chiosa, quando era incazzato a mille, alle lettere che spediva (o, meglio, faceva portare) al nostro giornale, resta leggendaria.
L’archivio della tribuna è gonfio delle lettere di Gentilini che commentavano i servizi che meno gli erano piaciuti. Quelli sulle operazioni immobiliari e sulla speculazioni, dalla zona del tribunale a San Giuseppe, sul poltronismo, sull’occupazione delle controllate, sul centro commerciale “sottotraccia” approvato nel 2000, e poi segato dalla Regione.
La “Pravda”, come era solito chiamarci quando tuonava, era il suo bersaglio preferito ma anche il suo luogo per confrontarsi con i cittadini che lo vedevano più distante, nemico e diverso. È stato un rapporto speciale, quello fra la tribuna e Gentilini.
Durissimo, in alcuni tratti incandescente. Ma per raccontare la città di quegli anni, anche inevitabilmente complementare, con un rispetto istituzionale che non ci ha mai impedito di dire la nostra. Finimmo anche al bando, letteralmente. Per un lungo periodo la tribuna non poteva entrare a Ca’ Sugana, nemmeno nelle conferenze stampa degli assessori dove accedevano gli altri mass media. Ci rimaneva solo l’albo pretorio - àncora di salvezza mai troppo ringraziata – e il consiglio comunale.
E lui, che pure non perdeva un colpo, nel rispondere, con toni durissimi, ai nostri servizi, avrebbe saputo riconoscere il nostro servizio alla città.

Nel 2000, ci fu la rivoluzione del Put. La tribuna non solo raccontò giorno dopo giorno ogni strada che cambiava senso di marcia (ed erano quasi 70, dentro e attorno alle Mura), ma regalò infine ai lettori la mappa della nuova viabilità. E di fronte ai suoi che ci accusavano di averla rubata, quando seppe che era corretta, non esitò a dire: «Bravi, ciò». Tutto nel contesto di un autentico “processo” a Ca’ Sugana con i vertici del nostro giornale.
E poi, quando un’intervista del nostro giornale ad uno dei massimi esperti di van Gogh, lo storico dell’arte Fred Leeman, bocciò la mostra dei disegni a Casa da Noal, voluta dalla Lega per rispondere a Goldin con il promotore Plateroti («non possono essere autentici»), la chiuse d’imperio nel giro di poche ore, sulla spinta dei nostri servizi.
Non gli abbiamo risparmiato niente, e abbiamo raccontato tutto di quegli anni, anche le cose più scomode. Il risultato erano gli attacchi in consiglio comunale, cui non si poteva replicare, e le decine di querele proposte, in verità mai andate a buon fine. Eravamo il suo primo pensiero, al risveglio. L’ultima sua zampata? Andarsene mentre noi non andavamo in edicola. Raccontarlo è stata una bella sfida.
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