Treviso. L'intervista a Luciano Benetton: «Provo dolore, la gestione è stata malavitosa»

TREVISO. «Torneremo ad azzardare» promette Luciano Benetton verso la fine dell’intervista a Francesco Merlo su Repubblica. In realtà la frase potrebbe declinarsi anche al passato prossimo, perché Benetton è tornato ad azzardare ieri, dalle colonne di Repubblica, scuotendo con la forza di un terremoto il mondo Benetton. Bombe, e che bombe, sul gruppo e sulla sua gestione, creatura che a 82 anni ora Luciano riprenderà per mano, non prima di aver fatto saltare sulla sedia i manager del gruppo.
È soprattutto a loro che il fondatore si rivolge. Prima bordata: «La gestione è stata malavitosa, ma non in senso criminale. Il bilancio è in rosso e gli errori sono incomprensibili. Come se chi governava l’azienda l’avesse fatto apposta». Seconda: «Nel declino, gli arroganti si fanno notare molto più degli altri, diventano ancora più spavaldi». Terza: «Ho lasciato prima a mio figlio Alessandro, il secondogenito, che presto ha fatto due passi indietro. E l’azienda è stata affidata ai manager. Qualcuno lo abbiamo mandato via. Qualcun altro ha capito e se n’è andato. Altri capiranno». E se qualcuno non avesse ancora capito, potrà facilmente ritrovarsi nell’elenco dei peccati commessi: «Mentre gli altri ci imitavano, la United Colors spegneva i suoi colori. Ci siamo sconfitti da soli. I negozi, che erano pozzi di luce, sono diventati bui e tristi come quelli della Polonia comunista. E parlo di Milano, Roma, Parigi. Abbiamo chiuso in Sudamerica e negli Usa». E ancora: «Hanno smesso di fabbricare i maglioni. È come se avessero tolto l’acqua a un acquedotto. Ho visto cappotti alla russa, con il doppiopetto, il bavero largo, le spalle grosse, di colore grigio sporco».
Un mix di errori di valutazione, disimpegno, investimenti sbagliati che all’animo del fondatore provocano «un dolore intollerabile, nel 2008 avevo lasciato l’azienda con 155 milioni di euro di attivo e la riprendo con gli 81 milioni di passivo del 2016». Errori incomprensibili, come se qualcuno, spiega Benetton, li avesse fatti in malafede, eppure dagli strali del fondatore qualcuno si salva. Per esempio la signora dell’ufficio vendite che, spiega, «è venuta a dirmi che quando arriva al lavoro nessuno la saluta, e la lasciano lì senza far nulla. Ho scoperto che come lei ce n’erano tanti: i migliori».
Il tuffo nel passato assieme alla sorella Giuliana («che a 80 anni ha ripreso a fare i maglioni») e al compagno di provocazioni Toscani («malgrado l’apparenza, ora è più maturo») potrebbe non bastare, ma vale comunque un tentativo: «Il giovanilismo è una malattia senile. Vedrete che troveremo i giovani giusti. Staneremo le intelligenze dovunque si trovino, a cominciare dagli immigrati che sono una ricchezza d’energia. Li chiameremo a Fabrica a studiare e a lavorare con noi. E in poco tempo torneremo a colorare il mondo».
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