Treviso, Federica e le altre: «Noi vergini abbiamo scelto il Signore»

TREVISO. Se la verginità è una virtù, da coltivare per tutta la vita. Sono più di settecento, in Italia, le donne che hanno fatto questo voto, senza rinunciare alla loro vita secolare, quindi senza farsi suore.
Lavorano come tutte le altre donne, spesso hanno una professione qualificata – ci sono anche docenti universitarie -, vivono in famiglia o da sole.
Sono le ‘vergini consacrate’, appartengono all’Ordo Virginum e da 23 al 26 agosto si incontreranno, provenienti da tutta Italia, alla casa religiosa Filippin di Paderno del Grappa.
«Ci porremo in ascolto degli inviti di Papa Francesco che non propone solo contenuti, ma scelte di vita concrete, atteggiamenti loquaci, stili che evidenziano come la consacrazione è portatrice di grazia per l’pumanità e manifesta relazioni vitali che umnanizzano ed evangelizzano» anticipa Giuseppina Avolio. E’ di Napoli, Giuseppina, ha 44 anni. È laureata in filosofia e dottoranda in teologia, è assistente al Biennio di specializzazione in teologia pastorale della Facoltà teologica di Napoli. Da giornalista dirige l’Ufficio comunicazioni sociali dell’Ordinariato militare.
La diocesi di Vittorio Veneto ha già otto vergini consacrate, Treviso quattro (ha iniziato quest’anno il percorso). Tra le ultime consacrate da mons. Corrado Pizziolo, vescovo di Vittorio Veneto, Federica Pase e Federica Forner. Quest’ultima ha 46 anni, è libera professionista (nello specifico consulente del lavoro) e abita a Cavalier di Gorgo. Pase ha 33 anni e risiede a Ramera. Lavora come infermiera presso l’associazione La Nostra Famiglia a Pieve di Soligo.
«Ho imparato ad amare la Chiesa, a fare quello che serve e non quello che mi piace – ha dichiarato all’ordinazione -; ho incontrato la misericordia del Signore che mi ha preso per mano e mi ha salvata. Non potevo tenere tutte queste cose belle, che il Signore mi aveva donato, solo per me».
Jane Uliana è proprio l’ultima, l’ottava. Ha 40 anni ed è impiegata in un’azienda di Mansuè.
In diocesi di Treviso, il 20 gennaio scorso l’arcivescovo Gianfranco Agostino Gardin ordinava Marina Bustreo di Castelfranco, la prima vergine consacrata della chiesa locale. Il 21 aprile nella stessa cattedrale consacrava Elena Fornasiero di Vedelago, Daniela Miele di Salzano e Serena Marangoni di Castelfranco.
Le vergini consacrate – ricordava mons. Gardin - «sono impegnate nelle cose del mondo, capaci di cogliere il futuro che è dono di Dio, incontro definitivo con il Signore che dà senso a tutto.Sono immerse nei contesti quotidiani di vita per portare la scoperta di Dio».
Il 21 aprile 2018, nella stessa Cattedrale, il vescovo imponeva le mani su Elena Fornasiero di Vedelago, Daniela Miele di Salzano e Serena Marangoni di Castelfranco. Le vergini consacrate si impegnano pubblicamente a tradurre il loro “sì” in una concreta testimonianza. A tale scopo, ognuna scrive una propria regola di vita, che viene approvata dal Vescovo: la regola è uno strumento per determinare i percorsi personali e le modalità concrete con cui corrispondere al dono ricevuto.
Il Vaticano ha pubblicato in giugno un documento per inquadrare meglio questo fenomeno che riguarda circa cinquemila donne in tutto il mondo.
Tra i temi affrontati – spiega Giuseppina Avolio, rifacendosi all’istruzione pontificia – c’è la necessità di verificare la «maturità umana» delle candidate, che presuppone «una realistica conoscenza di se stessa e una serena, obiettiva consapevolezza dei propri talenti e dei propri limiti, unite a una chiara capacità di autodeterminazione e ad una adeguata sufficiente attitudine all’assunzione di responsabilità». Vi è anche, come presupposto, «la capacità di instaurare relazioni sane, serene e oblative, con uomini e donne, unita ad una retta comprensione del valore del matrimonio e della maternità».
Ed ecco un’altra condizione: «la capacità di integrare la sessualità nell’identità personale e di orientare le energie affettive in modo da esprimere la propria femminilità in una vita casta che si apra ad una più ampia fecondità spirituale». E infine «la capacità lavorativa e professionale con cui provvedere al proprio sostentamento in modo dignitoso».
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