Trent’anni fa la fine della follia omicida di Roberto Succo

Uccise i genitori, poi l’arresto, l’evasione e altre 5 vittime Rinchiuso a S.Bona salì sul tetto per protesta, poi il suicidio

Oggi sono trent’anni da quando in carcere si è ucciso Roberto Succo, il killer dagli occhi di ghiaccio. Ha ucciso sette volte e le sue vittime, compresi i genitori, non hanno mai avuto giustizia. Succo, per la mattanza che ha compiuto tra Mestre e la Francia, non ha mai pagato. Non è mai stato processato. Per lui la morte è stata solo una fuga. L’ennesima.

È l’alba del 23 maggio 1988: nella cella accanto all’infermeria del carcere San Pio X di Vicenza entrano due guardie. Roberto Succo è disteso sulla branda e ha la testa coperta dal cuscino. Gli agenti si accorgono della bomboletta di gas che sta accanto alla branda, tolgono il cuscino e si rendono conto che il killer si era ucciso infilando la testa dentro un sacchetto di plastica riempito di gas. Dopo pochi giorni doveva essere trasferito in un ospedale giudiziario criminale. Era un detenuto da sorvegliare a vista. A Vicenza non lo hanno fatto. Succo ha 26 anni, l’assassino che ha terrorizzato Italia e Francia, che aveva una taglia sulla testa come i banditi di una volta, scappava per l’ultima volta. E come da vero bandito porta con sè numerosi misteri sulle sue fughe, su chi lo ha mantenuto durante la latitanza e sugli appoggi che ha avuto. L’avevano chiamato in tanti modi, ma in Italia era soprattutto «il mostro di Mestre».

Il mostro di Mestre. La sua storia criminale, infatti, era iniziata a Mestre in una palazzina in via Terraglio dove abita con la famiglia. Un ragazzo timido, che sta spesso per conto suo, a volte irascibile e che alcuni amici dicono avesse la passione di sezionare animaletti vivi che catturava quando era a casa dal scuola. Frequenta il liceo Morin e canta nel coro della parrocchia. La storia del “mostro” inizia nell’aprile del 1981. Il padre Nazario, 53 anni, è un appuntato friulano emigrato dalla Valle del Natisone, lavora alla Squadra Mobile di Venezia. La madre Maria Lamon ha poco più di 40 anni, è una casalinga originaria di Noale. La descrivono come una donna troppo apprensiva con il figlio. La sera del 5 aprile i due litigano perché lui vuole uscire a bordo dell’Alfasud del padre e lei dice di no.

Assassino dei genitori. Roberto prende un coltello da cucina e comincia a colpire la donna per 32 volte e ovunque. Poi trasporta il corpo nella vasca da bagno, spegne le luci e al buio attende che rientri il padre. L’uomo arriva alle 23.30 e viene aggredito alle spalle a colpi di accetta poi Roberto gli infila un sacchetto di nylon in testa, mette il cadavere del padre sopra a quello della madre e riempie la vasca di acqua. Scappa con la macchina del padre. Tre giorni dopo lo arrestano a Valli del Natisone mentre esce da una pizzeria. In carcere si diploma mentre il tribunale lo dichiara infermo di mente e lo condanna a 10 anni dell’allora manicomio criminale. Viene rinchiuso in una struttura di Reggio Emilia.

Studente in carcere. Mentre è dentro si iscrive alla facoltà di geologia dell’Università di Parma, incomincia a frequentare e ha un profondo dialogo con il cappellano. Ottiene il regime di semilibertà per poter seguire le lezioni e il 12 giugno 1986 evade. Sale su un treno per Genova e sparisce. La sua evasione non viene comunicata subito alle forze dell’ordine.

La compagna di scuola. Racconta la giornalista mestrina Laura Ferretto: «All’epoca lavoravo ad Antenna Tre e seguivo la nera, Succo lo conoscevo fin dal liceo, anch’io andavo al Morin. Una mattina di quel giugno, mentre percorro via Piave, incrocio i suoi occhi e d’istinto abbasso lo sguardo, lo stesso fa lui. Fatti alcuni passi mi giro per guardarlo e anche lui si gira. Proseguo per la mia strada. Ricordo che, arrivata in caserma dai carabinieri, racconto di aver visto Succo, avevo paura. Mi prendono per visionaria. Ma avevo ragione. Alcune settimane dopo, ecco che esce la notizia della sua evasione denunciata in ritardo».

Killer in Francia. Scappa in Francia, dove tra la Savoia e la Provenza uccide altre cinque volte e violenta almeno due donne. Ammazza un brigadiere della Gendarmeria nazionale francese, un medico, un ispettore di polizia e due donne. Ritorna in Italia e il 28 febbraio 1988 viene catturato a Bocca di Strada di Santa Lucia di Piave. Lo arresta un collega del padre. Tenta nuovamente di evadere dal carcere di Santa Bona di Treviso, improvvisando una conferenza stampa sul tetto del penitenziario con molta gente accorsa intorno al carcere. Poi il suicido a Vicenza.

Carlo Mion

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